Caduta l’accusa di corruzione , l’ex presidente dell’ ANM è pronto a patteggiare. La condanna imposta dallo “sconto” lieve, è soltanto un anno. Palamara alza le mani. “Io non ammetto nulla, resto innocente”. Ovvero, la ripartenza secondo Palamara, che a questo non troverebbe i precedenti ostracismi per una candidatura di livello. L’ex pubblico ministero romano ed ex membro del Consiglio Superiore, Luca Palamara, la toga che nel 2019 fu travolta dalle cene all’hotel Champagne con politici e colleghi, il primo ed unico caso di ex presidente dell’Anm radiato dalla magistratura, di fatto non è più imputato per corruzione.
Ha chiesto invece di essere processata con il rito abbreviato la co-inputata di Palamara, Adele Attisani nei cui confronti Cantone ha rideterminato anche per lei l’accusa da concorso in corruzione in traffico di influenze illecite.
Nel processo principale in corso a Perugia, infatti, quello legato ai rapporti con l’imprenditore Fabrizio Centofanti (che aveva già patteggiato a suo tempo) che lo vede sotto accusa con Adele Attisani, su richiesta della Procura guidata da Raffaele Cantone, l’accusa più grave è derubricata all’ipotesi meno pesante di “traffico di influenze”. La stessa sorte seguirà anche il secondo procedimento avviato – sempre per corruzione – dallo stesso ufficio guidato dal procuratore Cantone.
Quanto previsto dalla legge è molto chiaro: una volta decaduto il capo di accusa di corruzione, la pena diminuisce sensibilmente, e quindi Palamara ha potuto accedere al rito alternativo che prevede un “accordo” con la Procura: l’ottenimento di pene più basse in cambio della cancellazione del processo. Gli avvocati di Palamara, Benedetto Buratti e Roberto Rampioni, hanno depositato non a caso la richiesta a un anno di carcere (che prevede paraltro la pena sospesa), c’è l’accordo con i pm. Tra un mese, si attende la pronuncia del Tribunale. Ma entrambi i filoni d’inchiesta dovrebbero chiudersi entro l’estate.
Un accordo che salva sopratutto il “sistema Giustizia” dalla fuoriuscita di tutte le anomalie di questa inchiesta venite fuori grazie al lavoro di indagini difensive svolte dal collegio difensivo, ma sopratutto mette la “sordina” alle dichiarazioni dell’ avv. Pietro Amara che per troppo tempo ha abbeverato di menzogne le procure di mezza Italia.
“Non ci fu alcuna corruzione” sostiene Luca Palamara. “Ho deciso di accedere ai riti alternativi solo per liberarmi dal fardello dei processi. Non ammetto nulla, non riconosco alcuna forma di mia colpevolezza, lo faccio solo per ragioni personali e processuali” aggiungendo “Come ho sempre dichiarato sin dall’inizio della vicenda che mi ha riguardato non ho mai venduto la mia funzione e mai avrei tradito il giuramento fatto al momento del mio ingresso nella magistratura” .
Il procuratore capo di Perugia Raffaele Cantone presente in aula con i suoi sostituti, chiarisce che “il traffico di influenza rientra comunque tra i reati contro la pubblica amministrazione, e la nuova formulazione non cambia il quadro investigativo acquisito negli anni dall’ufficio” spiegando la ratio che ha portato alla rideterminazione del capo di accusa : “La scelta dell’ufficio è in linea con lo spirito della recente riforma Cartabia: così possono rapidamente definirsi due procedimenti di particolare complessità, che avrebbero significativamente impegnato l’ufficio inquirente e quello giudicante nei prossimi anni”. Ha contribuito anche la lentezza con la quale un piccolo Tribunale come quello di Perugia poteva affrontare un dibattimento di tale portata.
La prossima udienza è stata fissata dal tribunale per il prossimo 16 maggio. Se tutto dovesse procedere secondo quanto previsto, Palamara raggiunge due risultati molto importanti. Da un lato potrebbe rimettere in discussione la sua, un pò troppo rapida radiazione dalla magistratura: anche se il processo disciplinare non potrà incidere sul suo progetto di una candidatura politica che si sarebbe resa impossibile con quell’imputazione più pesante.
A spianargli la strada la circolare del Guardasigilli Nordio intervenuta solo un mese fa, che – su parere del ministro dell’Interno Piantedosi, a sua volta sorretto all’Avvocatura dello Stato – ha reinterpretato la legge Severino, escludendo dall’incandidabilità, tra coloro che si sono macchiati di reati contro la pubblica amministrazione, anche i condannati via patteggiamento.