La storia del processo contro l’ex magistrato Luca Palamara sembra destinata a durare all’infinito dopo l’ennesimo tentativo (riuscito) dello stesso imputato di allungare i tempi del suo processo per corruzione ottenendo un nuovo rinvio. I legali dell’ex presidente dell’ Anm hanno presentato alla Corte d’Appello di Perugia un’istanza di ricusazione di due giudici del 1° Collegio penale del Tribunale che doveva esprimersi su Palamara, che deve rispondere dell’accusa di corruzione per l’esercizio delle funzioni. Il Tribunale ha rinviato l’udienza al prossimo 12 aprile in attesa della sentenza della Corte d’Appello.
Al processo si e’ arrivati dopo che lo scorso 23 luglio il gup di Perugia Piercarlo Frabotta aveva disposto per l’ex consigliere del Csm il rinvio a giudizio nel filone principale dell’inchiesta perugina per corruzione dopo un’udienza preliminare durata 8 mesi, accogliendo, inoltre, la richiesta di patteggiamento a un anno a sei mesi per l’altro imputato l’imprenditore-lobbista Fabrizio Centofanti, che a giugno aveva reso dichiarazioni spontanee ai magistrati della procura di Perugia.
L’ex consigliere del Csm è accusato dalla Procura della Repubblica di Perugia di aver ottenuto varie utilità per sé e per Adele Attisani dall’imprenditore Fabrizio Centofanti. Nel capo di imputazione si legge che: “in concorso tra loro, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, agendo Adele Attisani quale istigatrice delle condotte delittuose e beneficiaria, altresì ed in parte, delle utilità ricevute, Luca Palamara, prima quale sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica di Roma ed esponente di spicco dell’Associazione Nazionale magistrati fino al 24 settembre 2014, successivamente quale componente del Consiglio Superiore della Magistratura e magistrato fuori ruolo ricevevano da Fabrizio Centofanti le utilità per l’esercizio delle sue funzioni e dei suoi poteri”. Secondo l’ ipotesi accusatoria formulata dai pm di Perugia Mario Formisano e Gemma Miliani , la Attisani sarebbe stata l’”istigatrice” dei presunti comportamenti illeciti di Palamara.
In particolare secondo l’atto di accusa “per la possibilità consentita a Centofanti da Palamara di partecipare a incontri pubblici o riservati cui presenziavano magistrati, consiglieri del Csm e altri personaggi pubblici con ruoli istituzionali e nei quali si pianificavano nomine ed incarichi direttivi riguardanti magistrati, permettendo in tal modo a Centofanti di accrescere il suo ruolo e prestigio di “lobbista”; per la disponibilità dimostrata da Palamara a Centofanti di poter acquisire, anche tramite altri magistrati e appartenenti alle forze dell’ordine, a lui legati da rapporti professionali e/o di amicizia, informazioni anche riservate sui procedimenti in corso ed in particolare, su quelli pendenti presso la Procura della Repubblica di Messina e di Roma che coinvolgevano Centofanti e gli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore; per la disponibilità di Palamara di accogliere richieste di Centofanti finalizzate ad influenzare e/o determinare, anche per il tramite di rapporti con altri consiglieri del Consiglio Superiore della Magistratura e/o di altri colleghi, le nomine e gli incarichi da parte del Consiglio medesimo e le decisioni della sezione disciplinare“.
“I fatti contestati a Luca Palamara nel processo per corruzione in corso a Perugia sono destinati a riflettersi sull’immagine e sulla reputazione della Magistratura nel suo complesso e sull’Associazione che la Magistratura stessa pressoché unitariamente rappresenta” ha sostenuto l’Anm nell’atto con il quale ha chiesto di costituirsi parte civile nei confronti di quello che è stato il suo segretario prima e presidente poi fino alla fine di settembre del 2014, sostenendo che è “immediatamente evidente la portata lesiva sull’immagine e sulla reputazione dell’Associazione nazionale magistrati delle condotte addebitate“.
Secondo gli avvocati del collegio difensivo di Palamara, Benedetto Buratti e Roberto Rampioni, “è solare evidenza che l’appartenenza all’Anm della presidente Carla Maria Giangamboni e Serena Ciliberto fa venir meno i requisiti di imparzialità, indipendenza e terzietà, sostanziale come apparente, del collegio competente a decidere sulla ammissibilità e fondatezza della pretesa risarcitoria dell’Anm”. Nella precedente udienza del processo, tenutasi il 15 novembre 2021, l’Associazione nazionale magistrati, infatti, aveva chiesto di costituirsi parte civile. La difesa di Palamara nel gennaio scorso avevano depositato una istanza al Tribunale di Perugia chiedendo di acquisire l’elenco nominativo degli iscritti all’Anm “al fine di consentire l’esercizio del diritto di difesa in ordine al pieno accertamento della imparzialità, indipendenza e terzietà del giudice competente a decidere”. Elenco che, sempre secondo la difesa Palamara, era stato “ripetutamente” richiesto alla stessa Anm che però non lo avrebbe “mai fornito“. resta da chiedersi se questa associazione sia segreta o trasparente.
Gli stessi giudici avevano peraltro chiesto di potersi astenere dal giudicare Palamara, ma il presidente del Tribunale di Perugia aveva respinto questa richiesta. I difensori di Palamara intervengono, nella loro richiesta, anche sulla rivalsa risarcitoria “anche dei danni morali, formulata dall’Anm”. “Oltre ad essere un assoluto inedito nel panorama giudiziario, ad esempio nessuna costituzione di parte civile risulta annunciata dalla stessa Anm nei confronti del dottor Davigo nell’ambito del procedimento penale pendente nei suoi confronti a Brescia appare fondata su quegli stessi presupposti di critica all’operato del dottor Palamara nell’esercizio delle proprie prerogative di membro dell’Anm”.
I difensori di Palamara hanno evidenziato “l’asimmetria del provvedimento del presidente del Tribunale di Perugia di rigetto della richiesta di astensione con la precedente decisione sul dottor Narducci”. In quella circostanza “il Presidente del Tribunale di Perugia ha ravvisato i gravi motivi di convenienza per autorizzare l’astensione di quel giudice sulla base dell’attività politico giudiziaria di questi. Circostanza obiettivamente di minor rilievo se paragonata al caso di specie ove il giudice è chiamato a pronunciarsi sulla pretesa risarcitoria dell’associazione di cui fa parte in maniera organica ed attiva”.
L’aspetto incredibile della vicenda è che a ordinare ai due giudici di restare al loro posto è stato un magistrato che del sistema di potere che ruotava, prima della fragorosa caduta, intorno a Luca Palamara era senza dubbio consapevole. Si tratta infatti di Mariella Roberti, oggi presidente del tribunale del capoluogo umbro e nel 2017 alla guida di quello di Velletri, in precedenza legata a Palamara da rapporti di viva cordialità documentati da decine e decine di messaggi che i due si scambiano sui rispettivi telefoni. Quasi sempre il “tema” delle comunicazioni sono le nomine che dal Csm Palamara gestiva in tutta Italia, e che alla Roberti spesso sembrano stare molto a cuore.
In particolare per la propria aspirazione a diventare presidente del Tribunale di Perugia, per il quale aveva fatto domanda. Ed è a Palamara che la Roberti si rivolgeva continuamente sino al 14 settembre 2017, quando il Csm le affidava la tanto desiderata presidenza del Tribunale umbro. “É fatta!” le scriveva con un messaggio Palamara. E la Roberti: “Grande! Grazie! Poi ti chiamo quando mi dici” a cui Palamara risponde: “Ti ho dato l’unanimità“. É la stessa Mariella Roberti che oggi decide che è normale che Palamara possa essere giudicato da due sue vittime: “L’agire dei magistrati chiamati a giudicare – scrive la Roberti – non potrebbe certamente essere diverso dalla conduzione di un processo equo con l’espressione di un giudizio indipendente e imparziale“. E questa sarebbe una magistratura limpida e trasparente ?