Il commercialista, è responsabile della perdita di chance causata al contribuente per non aver suggerito il ricorso in Cassazione avverso una sentenza sfavorevole e per non aver prospettato la possibilità di aderire al condono. Ad affermare questo concetto è la con la sentenza n. 11147 depositata il 29 maggio 2015.
LA VICENDA
Un contribuente conveniva in giudizio il proprio ragioniere per sentirlo condannare al risarcimento di tutti i danni subiti, quantificati in non meno di€ 64.278,49, oltre ad interessi e rivalutazione. Esponeva, in particolare, che era stato per lungo tempo cliente del predetto professionista; che, tra l’altro, aveva affidato a quest’ultimo l’incarico di assisterlo in una vertenza sorta con il Fisco, il quale aveva accertato un maggior reddito imponibile rispetto a quello dichiarato. Tuttavia, il ragioniere non aveva adempiuto con diligenzal’incarico affidatogli in quanto:
- in primo luogo, dopo la sentenza favorevole ottenuta in primo grado, non gli aveva prospettato la possibilità di accedere al condono di cui alla legge n. 413/91 con modesto onere economico;
- in secondo luogo, non si era costituito ritualmente nel giudizio di secondo grado conclusosi sfavorevolmente per il contribuente;
- in terzo luogo, non aveva provveduto ad impugnare tale sentenza dinanzi alla Corte di Cassazione rendendo così definitivo l’accertamento.
Il contribuente aveva perciò dovuto avvalersi del condono di cui alla legge n. 289/2002 sborsando l’importo di € 64.278,49.
Il professionista, dal canto suo, affermava di avere prospettato inutilmente al contribuente la possibilità di avvalersi del condono di cui alla legge n. 413/91; che, con riferimento alla irritualità della costituzione in secondo grado, vi erano dubbi interpretativi procedurali sulle modalità ed i tempi ed, in particolare, sulla necessita di presentare controdeduzioni; che, in ogni caso, l’esito sfavorevole del giudizio non era in relazione con la sua condotta; che, in ogni caso, non avrebbe potuto proporre ricorso in cassazione perché non abilitato né espressamente incaricato in tal senso.
Il Tribunale rigettava la domanda del contribuente, ritenendo che quest’ultimo non avesse dimostrato che l’incarico affidato al professionista fosse di ampiezza tale da ricomprendere anche la facoltà per il cliente di accedere al condono, ovvero di promuovere il ricorso per Cassazione. In ogni caso, il giudice di prime cure, premesso che il contribuente avrebbe dovuto dimostrare il nesso causale tra la condotta del professionista ed il danno derivatogli, aveva affermato che tale prova non era stata fornita. Con riferimento all’accesso al condono di cui alla legge n. 413/91 il giudice riteneva verosimile che il contribuente, pur avvertito, non avesse ritenuto di aderirvi, stante la sentenza favorevole di primo grado.
Tuttavia, la Corte d’Appello ribaltava il verdetto accertando la colpa professionale del professionista e condannandolo al pagamento, nei confronti del cliente, dell’importo di € 31.340,40, oltre rivalutazione e interessi. In particolare, ad avviso della Corte territoriale il contribuente aveva dimostrato l’affidamento dell’incarico professionale al professionista, mentre quest’ultimo non aveva adempiuto tale incarico con diligenza.
LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato dal professionista. Osservano, sul punto, gli Ermellini che in materia di contratto d’opera intellettuale, ove anche risulti provato l’inadempimento del professionista alla propria obbligazione, per negligente svolgimento della prestazione, il danno derivante da eventuali sue omissioni deve ritenersi sussistente solo qualora, sulla scorta di criteri probabilistici, si accerti che, senza quella omissione, il risultato sarebbe stato conseguito. La relativa indagine, da svolgersi sulla scorta degli elementi di prova che il danneggiato ha l’onere di fornire in ordine al fondamento dell’azione proposta, è riservata all’apprezzamento del giudice del merito.
A tal fine, il giudizio prognostico, che il giudice di merito deve compiere non può che consistere in una valutazione volta a verificare se la pretesa azionata a suo tempo, senza la negligenza del legale, sarebbe stata in termini probabilistici ritenuta fondata e se il risultato sarebbe stato diverso e più favorevole all’assistito. Nel caso di specie, il cliente aveva dimostrato l’affidamento dell’incarico professionale al professionista, mentre quest’ultimo non aveva dimostrato di aver adempiuto tale incarico con diligenza, provando di aver reso edotto il cliente sia della possibilità di aderire al condono, sia della possibilità di impugnare la decisione sfavorevole della Commissione tributaria di secondo grado. Anche se il professionista non avrebbe potuto difendere il suo cliente in Cassazione, egli avrebbe dovuto provare di aver reso edotto il medesimo cliente sulla possibilità di impugnare la decisione per impedire la formazione del giudicato.
Alla luce delle predette considerazioni – conclude la Suprema Corte -, è quindi risarcibile la perdita di chance, essendo nella specie ravvisabile il pregiudizio di elementi oggettivi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l’esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile.
Ecco la sentenza : Cassazione-sentenza-11147-2015-il-commercialista-e-responsabile-per-il-mancato-consiglio