Pubblicare i verbali di un interrogatorio è possibile a patto che non venga compromessa l’inchiesta. La Suprema Corte di Cassazione ha dato ragione al quotidiano La Repubblica ed al collega (scomparso nel 2011) Giuseppe D’Avanzo nella causa che undici anni Mediaset intentò fa contro il giornalista ed ha condannato la società di Berlusconi a pagare le spese legali della controparte. Questo in virtù di un nuovo principio giuridico, a cui d’ora in poi dovranno attenersi i giudici italiani, sancito con una sentenza di 22 pagine dalle Sezioni Unite Civili, presiedute da Giuseppe Salmé. E cioè che il segreto istruttorio, e quindi il reato di pubblicazione arbitraria degli atti di un procedimento penale, non tutela la privacy degli imputati o dei testimoni ma è utile soltanto alle esigenze della giustizia.
Così scrive nella sua sentenza la Suprema Corte: “Il reato di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale non coperti dal segreto, di cui all’art. 684, commi 2 e 3, del codice penale, ha natura monoffensiva, tutelando solo l’amministrazione della giustizia e non anche la reputazione e la riservatezza del soggetto sottoposto a procedimento penale, sicché la sua sola violazione non legittima un’autonoma pretesa risarcitoria, fermo l’apprezzamento della marginalità della riproduzione alla luce del principio della irrisarcibilità del danno non patrimoniale di lieve entità“.
Al centro del contenzioso legale c’era l’articolo di Giuseppe D’Avanzo intitolato “Ora il dovere della chiarezza”, pubblicato sul quotidiano La Repubblica il 23 marzo 2005, che prendeva spunto dall’avviso di conclusione delle indagini fatte dalla Procura della Repubblica di Milano sulla presunta frode fiscale nella compravendita di diritti televisivi commessa dai vertici di Mediaset e dalle dichiarazioni rilasciate dall’avvocato David Mills. Mediaset ha sostenuto vanamente l’arbitrarietà della pubblicazione di due frasi riprese dall’interrogatorio del legale inglese riguardanti il presidente Silvio Berlusconi, ritenuta diffamatoria e illecita per aver violato l’art. 684 del codice penale e le norme a tutela della privacy, in particolare la riservatezza sui dati sensibili.
Mediaset poneva sotto accusa in particolare il passaggio in cui D’Avanzo riporta le dichiarazioni fatte da Mills ai procuratori e in cui dice di aver organizzato per Silvio Berlusconi le società offshore della “tesoreria occulta” Fininvest “per destinare una parte del patrimonio privato di Silvio Berlusconi ai figli del suo primo matrimonio”. E quelle in cui successivamente ammetteva che i beneficiari economici delle due società create “sono (come dimostrano le firme sulle contabili) Marina e Pier Silvio Berlusconi”, pur avendo un’operatività subordinata al “consenso di Gironi, Foscale e Confalonieri che rappresentano la volontà di Berlusconi“.
Nel 2008 il Tribunale civile di Roma aveva già respinto la domanda e la decisione era stata poi confermata nel 2011 dalla Corte d’appello civile di Roma. La Suprema Corte di Cassazione ha confermato le decisioni dei precedenti gradi di giudizio con una sentenza definitiva