ROMA – Arrestato questa mattina dalla Guardia di Finanza di Crotone, il magistrato della Corte di Appello di Catanzaro Marco Petrini , di origine umbre, a seguito di ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del Tribunale di Salerno. Le indagini sono coordinate dal pm Vincenzo Senatore, dal procuratore aggiunto Luigi Alberto Cannavale e dal procuratore reggente Luca Masini. Sono in corso perquisizioni a Catanzaro e acquisizione di atti presso la Corte d’Appello della città calabrese.
Insieme a Petrini sono stati arrestati: Vincenzo Arcuri, Giuseppe Caligiuri, Luigi Falzetta, Emilio Santoro, Francesco Saraco e Giuseppe Tursi Prato). L’avvocato Marzia Tassone è stato posto agli arresti domiciliari. Ci sono altri 16 indagati. L’accusa per tutte le persone coinvolte nell’inchiesta é corruzione in atti giudiziari.
Un’inchiesta che va raccontata partendo da una premessa: arresti e perquisizioni non vanno considerati alla stregua di sentenze definitive, ma esclusivamente come un momento cautelare di prevenzione di una vicenda nella quale tutte le persone coinvolte si dicono pronte a sostenere la correttezza del proprio ruolo.
L’indagine è partita nel 2018 e sulla base della ricostruzione degli inquirenti, si trattava di un vero e proprio sistema di corruzione che vedeva al centro il magistrato Petrini, destinatario di denaro, gioielli ma anche di prestazioni sessuali in cambio di favori processuali, per esempio le assoluzioni o le riduzioni di pena promesse o assicurate dallo stesso per vanificare gli effetti di una sentenza di condanna in primo grado.
Indagini approfondite grazie all’ausilio di intercettazioni attraverso il trojan inoculato dalla Procura di Salerno sul cellulare del giudice, ma anche supportate da appostamenti e di filmati (come la telecamera negli uffici della commissione Tributaria).
Una vita lavorativa e sessuale abbastanza imbarazzante per il giudice Petrini , quella che emerge dalle carte dell’inchiesta di Salerno. Una vita professionale e sessuale nella quale ci sarebbe posto anche “per una amante stabile“: è questo il ruolo che viene descritta da parte del Tribunale di Salerno l’ avv. Marzia Tassone, da ieri ai domiciliari. ,Nella stanza del giudice (in questo caso consultato come vertice di una sezione della corte di assise appello), l’avvocatessa avrebbe offerto tre prestazioni sessuali (due delle quali filmate e agli atti), in attesa di un intervento di Petrini, a proposito di scottanti vicende giudiziarie del distretto.
Basandosi sulla ricostruzione dell’accusa, c’era in ballo il rigetto da parte del giudice della richiesta della Procura generale di utilizzare il verbale del pentito Emanuele Mancuso, ritenendo “irrilevanti e inconferenti rispetto ai capi di imputazioni le dichiarazioni”, in un processo in cui era presente in uno dei collegi difensivi, tra gli altri, proprio l’avvocatessa Maria detta Marzia Tassone . Ma non bastava: “Lo scorso sette marzo – scrive il Gip salernitano – il giudice Petrini avrebbe promesso di aiutare l’avvocato Tassone per la difesa di Giuseppe Gualtieri, a sua volta imputato in un duplice omicidio in danno di Francesca Petrolini e Rocco Bava, avvenuto a Davoli nel 2018»
Leggendo la misura cautelare, emerge il verbale del collaboratore di giustizia Andrea Mantella, il quale alla domanda se conoscesse il magistrato Petrini non ha alcuna esitazione nel rispondere così: “Nell’ambiente che ho frequentato lo chiamavano il bolognese, quello con la gonnella, o il «porco». In merito a quest’ultimo soprannome, riferisco che il riferimento è anche alle donne. Ribadisco che Marco Petrini fa parte della congrega sopra descritta e che mangia come un porco, accetta soldi cash, auto a noleggio, soggiorni turistici, orologi e piaceri sessuali in genere”. Affermazione gravi e pesanti che dovranno essere smentite dallo stesso Petrini nel corso dell’interrogatorio di garanzia, che si terrà nel carcere salernitano di Fuorni, dove il magistrato – anche per motivi precauzionali – è stato tradotto subito dopo le manette ai polsi.
L’inchiesta riguarda anche i sequestri preventivi previsti dalla normativa antimafia, i processi tributari e quelli in sede civile. A muovere la sua azione, spiega il Gip nella sua ordinanza, la situazione di grave sofferenza economica del Petrini, il quale aveva sempre bisogno di continue nuove entrate per potere sostenere il proprio tenore di vita ritenuto spropositato. Nell’abitazione del giudice durante il corso della perquisizione domiciliare sono stati trovati in una busta contanti per seimila euro.
I magistrati documentano “una situazione di ‘sofferenza bancaria’ dovuta al mancato pagamento di alcuni finanziamenti, ed una quasi costante scopertura di conto corrente“. Gli investigatori, “tenuto conto delle ripetute consegne di somme di denaro in contanti al Petrini, documentate nel corso delle indagini, hanno proceduto ad approfonditi accertamenti bancari e patrimoniali, finalizzati a ricostruire le disponibilità economiche in capo allo stesso Petrini“.
Dalle verifiche eseguite sui conti correnti bancari riconducibili a Petrini “emergeva – secondo quanto scrivono i giudici – una situazione di ‘sofferenza bancaria’ dovuta al mancato pagamento di alcuni finanziamenti, ed una quasi costante scopertura di conto corrente, coperta con versamenti di somme in contante che, nell’anno 2018, ammontavano ad euro 20.400,00; dato quest’ultimo che, da subito appariva anomalo, visto che il Petrini, pubblico dipendente, riceve i propri emolumenti unicamente attraverso bonifici“.
Partecipe e presunto complice di questo “sistema” era un medico in pensione ed ex dirigente dell’Asl di Cosenza il quale secondo quanto emerso stipendiava il magistrato Petrini, che è anche presidente della Commissione provinciale tributaria, per godere dei favori processuali e trovava altre persone – imputati o parenti di imputati – disposti a corrompere il giudice.
Il consigliere regionale Tursi Prato, invece, grazie ai “servigi” di Marco Pretini, avrebbe percepito il vitalizio che non gli spettava più in quanto era stato condannato nel 2004 a sei anni con interdizione perpetua dai pubblici uffici, condanna questa che aveva comportato la decadenza del diritto all’assegno.
Gli indagati nell’inchiesta della Dda di Salerno promettevano e consegnavano al magistrato, presidente di sezione della Corte d’Appello di Catanzaro nonché presidente della Commissione Provinciale Tributaria del capoluogo calabrese, in cambio del suo intervento “per ottenere, in processi penali, civili e in cause tributarie – riporta un comunicato – sentenze o comunque provvedimenti favorevoli a terze persone concorrenti nel reato corruttivo. In taluni casi i provvedimenti favorevoli richiesti al magistrato e da quest’ultimo promessi e/o assicurati erano diretti a vanificare, mediante assoluzioni o consistenti riduzioni di pena, sentenze di condanna pronunciate in primo grado dai tribunali del distretto, provvedimenti di misure di prevenzione, già definite in primo grado o sequestri patrimoniali in applicazione della normativa antimafia, nonché sentenze in cause civili e accertamenti tributari”.
La Procura di Salerno punta a interrogare nei prossimi giorni una terza avvocatessa, anch’essa indagata per un’ipotesi di tentata corruzione. Viene filmata mentre si scambia qualche bacio con il giudice. Di cosa parlavano, ignari di essere ripresi? Dell’esame di avvocato per una assistente dell’avvocatessa, argomento sul quale il giudice non avrebbe lesinato consigli professionali.
Per il giudice per le indagini preliminari, Giovanna Pacifico, “la disponibilità del Petrini ad accedere alle proposte corruttive, non ha trovato freno nemmeno rispetto alle espresse preoccupazioni manifestategli dalla moglie” dopo la pubblicazione sul Il Fatto Quotidiano (leggi l’articolo di Antonella Mascali), il 17 gennaio 2019 di un articolo con la notizia di indagini della Procura di Salerno nei confronti di quindici magistrati del distretto di Catanzaro, nel quale vi era un espresso riferimento alla persona del Tursi Prato. “E allo stesso riguardo, costituisce un dato allarmante la perduranza dei contatti intrattenuti dal magistrato con Santoro ed Falzetta (Luigi, anch’egli arrestato), e la ricezione di altre utilità conseguite facendo mercimonio delle funzioni giudiziarie svolte, persino dopo la divulgazione sulla stampa nazionale di articoli relativi ad indagini per corruzione svolte dalla Procura di Perugia, che hanno avuto conseguenze dirompenti sul sistema giudiziario nazionale con le dimissioni di quattro componenti del Consiglio Superiore della Magistratura”.