di Cristina Ornano
Ci lasciamo alle spalle una settimana difficile per la magistratura e per la vita democratica del Paese. La vicenda –ormai nota- che ha coinvolto, suo malgrado, il Procuratore di Torino Armando Spataro, ha segnato i rapporti fra giustizia e politica, generando un confronto molto acceso anche all’interno della magistratura.
Il caso ha visto il ministro dell’Interno diffondere via social informazioni, ricevute dal Capo della Polizia in virtù del ruolo istituzionale ricoperto, su un’importante e delicata misura cautelare, emessa nell’ambito di una complessa indagine per associazione per delinquere di stampo mafioso. Rivelazione avvenuta mentre era ancora in corso l’operazione.
Quella dell’esecuzione delle misure cautelari è una fase molto delicata, nella quale il dovere di riserbo incombe su tutti i soggetti che ne sono per ragioni istituzionali informati, compreso il ministro, perché la prematura diffusione di notizie mette a serio rischio l’efficacia dell’operazione, la quale richiede che i destinatari della stessa non si sottraggano o cerchino di sottrarsi alla sua esecuzione; e richiede anche che l’esecuzione sia fatta con tempi e modi tali da salvaguardare la sicurezza e la tutela della dignità delle persone le quali, a vario titolo, sono coinvolte.
Un tweet di troppo può dare consenso politico, ma di certo nel caso in questione non giovava all’amministrazione giudiziaria e ai suoi operatori, per i quali, anzi, poteva essere fonte di pregiudizio.
E se a fronte del comunicato diffuso da Armando Spataro -che del tutto correttamente si è limitato a far presente al ministro l’impatto negativo che quella sua esternazione avrebbe potuto avere sull’operazione giudiziaria in corso a Torino- era normale attendersi parole di dialogo e di chiarimento, come si confà a chi incarna le Istituzioni, siamo rimasti profondamente feriti da quel “se è stanco vada in pensione” e dalle altre parole di offesa e dileggio che a questa frase si sono accompagnate.
Parole che feriscono non solo perché lontane dalla moderazione istituzionale che ci si aspetterebbe da un ministro della Repubblica, ma anche perché irrispettose della storia professionale del nostro collega. Per i magistrati Spataro è un esempio per il coraggio, il rigore e per l’efficacia del suo lavoro, a cui non solo la magistratura ma tutto il Paese deve moltissimo.
Proprio per questo il Coordinamento di Area Democratica per la Giustizia ha sentito l’esigenza di intervenire subito sia a sostegno del Procuratore sia a difesa dell’autonomia e indipendenza delle toghe. Ed i nostri colleghi di Area che siedono al Csm hanno chiesto l’apertura di una pratica a tutela di Armando, perché le istituzioni non possono essere trascinate nell’agone politico e essere fatte oggetto di dileggio
Ci aspettavamo anche da parte dell’Anm una presa di posizione chiara e unitaria ed i nostri rappresentati di AreaDg nell’Associazione si sono impegnati in questa direzione. Purtroppo abbiamo dovuto registrare lo scarso interesse degli altri gruppi, timidezze e cauti distinguo sulla vicenda, in alcuni casi una vera e propria ostilità verso la nostra iniziativa.
Pur venendo in gioco i temi della difesa dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura, della difesa dell’onore e della dignità del magistrato e del suo lavoro, la Giunta esecutiva centrale dell’Anm non ha parlato e si è espresso soltanto a titolo personale e, soltanto a distanza di diverse ore, il presidente dell’associazione, con una presa di posizione che non ci ha soddisfatto, perché diretta a ricercare una equidistanza rispetto a questioni sulle quali la posizione della magistratura non può che essere netta.
Ben altra reazione ci aspettavamo di fronte all’aggressione a quei valori costituzionali irrinunciabili, in primis la separazione fra poteri e l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. Anche perché una domanda si pone pressante: se oggi il bersaglio è Armando Spataro, magistrato che per la sua storia e per il suo operato rappresenta per tutti noi un modello, cosa avverrà quando l’obiettivo sarà un giovane giudice o un giovane sostituto? Chi lo tutelerà?
Il primo obiettivo dell’Anm è quello della tutela delle garanzie costituzionali della magistratura, intese non come privilegio dei singoli magistrati o della ‘corporazione’, ma come principi e pilastri sui quali si regge l’assetto democratico. Sono in gioco il dovere del riserbo e del rispetto delle prerogative della magistratura, l’esercizio imparziale e autonomo della giurisdizione, la separazione fra poteri: sono in gioco valori fondamentali della democrazia.
Questo modo di interpretare l’associazionismo non ci appartiene. Per tutte queste ragioni porteremo la questione all’attenzione del prossimo Comitato Direttivo Centrale dell’Anm, che si terrà il 15 dicembre prossimo.
*Magistrato e segretario nazionale di Area Democratica per la Giustizia