La sezione lavoro della Corte di appello di Lecce ha condannato Il Pd provinciale di Lecce per aver utilizzato Maurizio Pascali uno studente universitario come addetto stampa, per poco più di tre anni, tra il 2010 e il 2013, tenendolo come co.co.co ed a partita Iva per 1.200 euro lordi al mese, mentre di fatto era un dipendente del partito, con un “rapporto di lavoro subordinato”. Il Pd di Lecce dovrà pagare a oltre 50mila euro, di cui 6.700 in solido con l’ex ministro Teresa Bellanova all’epoca dei fatti esponente del Partito Democratico e sottosegretaria di stato al Lavoro.
Lo studente inoltre “oltre a interessarsi della comunicazione del Pd provinciale”, “fu direttamente chiamato dall’onorevole Bellanova per integrare il suo personale staff in vista delle elezioni nazionali indette per quell’anno“, si legge nella sentenza di appello emessa nello scorso giugno ma che è stata depositata in questi giorni nell’ambito di un altro processo che riguarda tra gli altri Pascali e Bellanova.
Per la Bellanova invece Pascali non solo era un collaboratore autonomo ma aveva anche “estorto in modo fraudolento” la lettera di referenze scritta su carta intestata della Camera dei Deputati con in calce la sua firma che, però, disconobbe nel corso di una intervista rilasciata a La7 pur avendola inserita nella memoria presentata al giudice del lavoro. Ne è seguita anche una lunga causa civile e penale con l’accusa per l’ex collaboratore di diffamazione, truffa, tentativo di estorsione e calunnia
“L’attività di Pascali era meramente esecutiva delle richieste degli esponenti del Pd, rispetto ai quali si poneva come interfaccia” scrivono i giudici nella sentenza di una causa durata, sino ad ora, 8 anni “con gli organi di stampa locale, anche monitorando e segnalando la pubblicazione di interventi di soggetti di diverso orientamento politico ai quali il Pd potesse replicare (…). L’apporto di Pascali si connotava per continuità temporale e per coordinamento attesa la stretta correlazione con gli input degli esponenti del partito resa ostensibile anche dall’utilizzo di una postazione di lavoro nonché di una utenza telefonica fissa’“. La sentenza è datata giugno 2022 ma è venuta alla luce soltanto adesso perché l’avvocato Alessandro Stomeo difensore di Pascali, l’ha depositata agli atti del processo penale in corso.
A finire a processo insieme a Pascali ci sono anche dei giornalisti che, all’epoca, raccontarono la vicenda. L’accusa iniziale per Mary Tota de Ilfattoquotidiano.it, Danilo Lupo all’epoca inviato del programma “La Gabbia” in onda su La7 e Francesca Pizzolante de Il Tempo era di diffamazione e concorso in tentata estorsione, poi ridotta a diffamazione. I giornalisti, difesi dall’avvocato Roberto Eustachio Sisto del foro di Bari, vengono accusati da 8 anni di aver diffamato l’ex sottosegretaria al Lavoro Teresa Bellanova, ritenuti responsabili dalla politica leccese di aver raccontato della sua vertenza di lavoro contro Pascali.
“Le sentenze non si commentano, si rispettano. È quello che ho sempre pensato ed è esattamente quello che in questo caso ho già fatto”, ha dichiarato Teresa Bellanova, viceministra delle Infrastrutture e mobilità sostenibile. “È opportuno ricordare, che parliamo di sentenza non definitiva in quanto si è nei termini per proporre ricorso in Cassazione, come peraltro già preannunciato dal mio difensore“