a cura dello Studio Legale Campanelli
Sanzione definitiva per un uomo, con relativo risarcimento a favore della coppia di coniugi, fatta oggetto di ripetuti messaggi, anche pubblici, relativi alle relazioni extraconiugali della donna. Evidenti le ripercussioni negative subite dal marito e dalla moglie, oltre che dai figli della coppia.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Dott. NAPPI Aniello – Presidente
Dott. GUARDIANO A. – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente Sentenza n. 29826 dep. il 10 luglio 2015
ATTO E DIRITTO
1. Con sentenza pronunciata il 4.3.2014 la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza con cui il tribunale di Milano, in data 29.3.2013, aveva condannato (OMISSIS) alla pena ritenuta di giustizia ed al risarcimento dei danni derivanti da reato in ordine ai delitti di cui agli articoli 81, cpv., 582, 585, 594 e 612 c.p., commessi in danno di (OMISSIS), rideterminava, su appello del pubblico ministero, in senso piu’ sfavorevole all’imputata il trattamento sanzionatorio, rigettando, invece, l’appello proposto dalla (OMISSIS).
2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione la (OMISSIS), a mezzo del suo difensore di fiducia, avv. (OMISSIS), del Foro di Milano, lamentando: 1) manifesta contraddittorieta’ della motivazione nella parte in cui attribuisce all’imputata l’uso di un’arma impropria (un taglierino), nonostante tale circostanza non abbia trovato conferma in sede di istruttoria dibattimentale, i cui esiti hanno, invece, evidenziato che tra la ricorrente e la persona offesa si sviluppo’ una colluttazione a mani nude; 2) erronea applicazione della circostanza aggravante di cui all’articolo 585 c.p., in sede di trattamento sanzionatorio, determinato senza specificare la misura della pena base e degli aumenti conseguenti al riconoscimento della suddetta aggravante e della disciplina del reato continuato; 3) violazione dell’articolo 539 c.p.p., comma 2, in considerazione della entita’ della somma riconosciuta a titolo di provvisionale dai giudici di merito nella misura di 10.000,00 euro, ritenuta abnorme, tenuto conto che l’unico danno di cui la parte civile ha dato prova e’ rappresentato da una malattia di dieci giorni, riconosciuta dai medici del Pronto Soccorso.
3. Con memoria depositata in udienza il difensore della costituita parte civile (OMISSIS), chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile, illustrando le ragioni a sostegno del proprio assunto.
3. Il ricorso non puo’ essere accolto.
4. Ed invero, inammissibile, deve ritenersi il primo motivo di ricorso, in quanto con esso il ricorrente ha esposto censure che si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicita’ tali da evidenziare la sussistenza di ragionevoli dubbi, ricostruzione e valutazione, in quanto tali, precluse in sede di giudizio di cassazione (cfr. Cass., sez. 1, 16.11.2006, n. 42369, rv. 235507; Cass., sez. 6, 3.10.2006, n. 36546, rv. 235510; Cass., sez. 3, 27.9.2006, n. 37006, rv. 235508).
Ed invero non puo’ non rilevarsi come il controllo del giudice di legittimita’, pur dopo la novella dell’articolo 606 c.p.p., ad opera della Legge n. 46 del 2006, si dispiega, pur a fronte di una pluralita’ di deduzioni connesse a diversi atti del processo, e di una correlata pluralita’ di motivi di ricorso, in una valutazione necessariamente unitaria e globale, che attiene alla reale esistenza della motivazione ed alla resistenza logica del ragionamento del giudice di merito, essendo preclusa al giudice di legittimita’ la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (cfr. Cass., sez. 6, 26.4.2006, n. 22256, rv. 234148).
La corte territoriale, peraltro, con motivazione approfondita ed immune da vizi, ha evidenziato come l’uso di un taglierino sia dimostrato dalla narrazione della persona offesa, sulla cui credibilita’ personale ed intrinseca attendibilita’ delle relative dichiarazioni la ricorrente non ha formulato specifiche censure, confortata da alcuni riscontri obiettivi – pur non necessari, ma opportuni, in ragione dell’avvenuta costituzione di parte civile, in quanto, come e’ noto, le regole dettate dall’articolo 192 c.p.p., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilita’ dell’imputato (cfr. Cass., sez. un., 19/07/2012, n. 41461, rv. 253214) – rappresentati dal contenuto della deposizione del testimone oculare (OMISSIS), il quale ha affermato di avere visto l’imputata “impugnare qualcosa”, e dal rinvenimento, sul luogo dei fatti, da parte degli agenti operanti di un manico di taglierino (cfr. pp. 6-7- della sentenza oggetto di ricorso).
2. Infondato deve ritenersi il secondo motivo di ricorso. Al riguardo si osserva che, come affermato dall’orientamento prevalente nella giurisprudenza di legittimita’, condiviso dal Collegio, la determinazione della pena tra il minimo e il massimo edittali rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed e’ insindacabile in sede di legittimita’, qualora il giudice abbia adempiuto all’obbligo di motivazione, il quale, pero’, si attenua nel caso in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor di piu’, nel caso in cui la pena sia applicata in misura prossima al minimo, in tal caso bastando anche il richiamo a criteri di adeguatezza, di equita’ e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all’articolo 133 c.p., tanto piu’ se si consideri che l’applicazione del minimo edittale non e’ correlata a un diritto assoluto dell’imputato, (cfr. Cass., sez. 4, 25/09/2007, n. 44766, G.).
Pertanto non e’ nemmeno necessaria una specifica motivazione tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta contenuta, in una fascia medio bassa rispetto alla pena edittale (cfr. Cass., sez. 4, 14/07/2010, n. 36358, T.V.; Cass., sez. 4, 05/11/2009, n. 6687, C. e altro; Cass., sez. 3, 08/10/2009, n. 42314, E.). Tali principi in tema di motivazione sulla entita’ del trattamento sanzionatorio, come da tempo affermato dalla giurisprudenza di legittimita’, si applicano anche nell’ipotesi di quantificazione della pena in sede di applicazione della disciplina della continuazione (cfr. Cass., sez. 1, 14/02/1997, n. 1059, Gagliano). Orbene, nel caso in esame, la corte territoriale, che e’ intervenuta su impugnazione del pubblico ministero, di cui ha condiviso la censura sulla eccessiva mitezza della condanna inflitta all’imputata in primo grado, se rapportata alla gravita’ del fatto, ha fissato in dieci mesi di reclusione la pena finale, ritenendola “congrua” rispetto alla capacita’ a delinquere dell’imputata, desunta da una serie di indici sintomatici, specificamente indicati, attinenti alla gravita’ della condotta posta in essere dalla (OMISSIS) in danno della (OMISSIS) (cfr. p. 7 della sentenza oggetto di ricorso). Tenuto conto che la pena inflitta in primo grado alla ricorrente era stata determinata nella misura di sette mesi di reclusione, partendo, in applicazione della disciplina della continuazione, da una pena-base di dieci mesi di reclusione, per il delitto di lesione personale volontaria aggravata, aumentata di giorni venti di reclusione, in relazione al delitto di cui all’articolo 612 c.p., e di ulteriori dieci giorni per il concorrente delitto di ingiuria, appare evidente che l’inasprimento del trattamento sanzionatorio e’ stato talmente contenuto ed al di sotto del limite massimo di aumento della pena consentito dalla circostanza aggravante di cui all’articolo 585 c.p. e dalla disciplina della continuazione, da non richiedere una specifica motivazione, che, peraltro, la corte territoriale, come si e’ detto, ha rigorosamente fornito.
D’altro canto, come affermato dal costante insegnamento della Suprema Corte, in tema di determinazione della pena nel reato continuato, da un lato non sussiste l’obbligo di specifica motivazione per gli aumenti di pena relativi ai reati satellite, valendo a questi fini le ragioni a sostegno della quantificazione della pena-base (cfr. ex plurimis, Cass., sez. 2, 21.11.2014, n. 4707, rv. 262313); dall’altro l’aumento per la continuazione operato sul reato piu’ grave (e quindi sulla pena base) puo’ essere determinato anche in termini cumulativi, senza che sia necessario indicare specificamente l’aumento di pena correlato a ciascun reato satellite, non previsto dalla vigente normativa (cfr. Cass., sez. 5, 13.1.2011, n. 7164, rv. 249710), per cui non da luogo a nessuna nullita’ l’aumento di pena per i reati satelliti determinato in termini unitari e complessivi, e non distintamente, in relazione a ciascuna delle violazioni (cfr. Cass., sez. 2, 21.1.2015, n. 4984, rv. 262290).
Identiche considerazioni valgono anche per la quantificazione dell’aumento di pena imposto dalla riconosciuta sussistenza della circostanza aggravante innanzi indicata.
Ed invero la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita’ del giudice di merito, che la esercita, cosi’ come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 c.p.; ne discende che e’ inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita’ della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta, come nel caso in esame, da sufficiente motivazione (cfr. Cass., sez. 5, 30.9.2013, n. 5582, rv. 259142). Peraltro, come sottolineato dal Supremo Collegio in un condivisibile arresto, l’eventuale violazione della disposizione che regola gli aumenti o le diminuzioni di pena in caso di concorso di circostanze aggravanti da luogo ad una mera irregolarita’ che non vizia quindi la sentenza, se la pena irrogata, come nel caso in esame, resta nei limiti di legge e non emerge l’inosservanza delle norme che provvedono alla quantificazione della pena (cfr. Cass., sez. 2, 17.4.2009, n. 27114, rv. 244788).
3. Inammissibile, infine, appare il terzo motivo di ricorso, in quanto, per giurisprudenza assolutamente costante del Supremo Collegio, non e’ deducibile con il ricorso per cassazione la questione relativa alla pretesa eccessivita’ della somma di denaro liquidata a titolo di provvisionale (cfr. Cass., sez. 4, 23/06/2010, n. 34791, rv 248348).
6. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso proposto nell’interesse della (OMISSIS) va, dunque, rigettato, con condanna della ricorrente, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento, nonche’ alla rifusione, in favore della parte civile costituita delle spese del presente giudizio di legittimita’, che, ai sensi del decreto del Ministro della Giustizia 20 luglio 2012 n. 140, “Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolarmente vigilate dal Ministero della giustizia”, si fissano in complessivi euro 2457,00, di cui euro 2000,00 per onorario, oltre spese e accessori come per legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al rimborso delle spese in favore della parte civile, liquidate in complessivi euro 2457,00, di cui euro 2000,00 per onorario, oltre spese e accessori come per legge.