Le sezioni unite dalla Suprema Corte di Cassazione ( presidente D’Ascola, estensore Patti) hanno rigettato i ricorsi dei magistrati Alessandro Donato Pesce e Michele Ruggiero contro la sentenza del Csm, con la quale la sezione disciplinare dell’organo di autogoverno della magistratura aveva dichiarato Ruggiero e Pesce responsabili di alcuni illeciti disciplinari. Ai due ex sostituti procuratori, in servizio negli anni scorsi a Trani, sono state contestate condotte gravemente scorrette ai danni di due testimoni coinvolte in procedimenti penali pendenti presso la procura di Trani.
La vicenda che ha avviato il procedimento è legata agli interrogatori svolti da Pesce e Ruggiero nei confronti di tre dirigenti di un operatore economico, fornitore di servizi per la Polizia Locale di Trani, ai quali veniva chiesto dai due magistrati ai testi di autoaccusarsi di avere pagato tangenti all’ex comandante della corpo, Antonio Modugno. Dei comportamenti utilizzati durante gli interrogatori dai due (ormai ex) pubblici ministeri si è però parlato ripetutamente anche con riferimento alle sommarie informazioni rese nell’ambito dell’inchiesta “Sistema Trani“, il cui processo si è concluso con assoluzioni, prescrizioni ma anche pesanti condanne nei confronti di alcuni degli imputati, che hanno già appellato la sentenza di primo grado.
Due imputati del processo conclusosi un anno fa a Trani , l’ex vicesindaco Giuseppe Di Marzio (assolto) e l’ex istruttore amministrativo dell’Area finanziaria del Comune di Trani Sergio De Feudis (condannato), hanno denunciato Michele Ruggiero per ipotesi legate non soltanto al modo in cui avrebbe condotto gli interrogatori, ma nel caso di Di Marzio anche per la discordanza fra i verbali e le fonoregistrazioni delle sommarie informazioni, circostanza questas che avrebbe determinato il suo arresto ed imputazione. Le loro denunce sono state unificate in un unico procedimento e martedì prossimo in quel di Lecce, dove la causa è incardinata, ci sarà una nuova udienza verso una sentenza che ormai non dovrebbe tardare.
Nell’ambito di diversi procedimenti disciplinari nel frattempo avviati nei loro confronti, fra le varie contestazioni, emergono le violazioni “dei doveri di imparzialità, correttezza, equilibrio e rispetto della dignità della persona, nell’esercizio delle funzioni di sostituti procuratori della Repubblica presso il Tribunale di Trani“, oltre a violazioni di legge ricorrendo “a metodi di indagine idonei ad influire sulla libertà di autodeterminazione e ad alterare la capacità di memoria e di valutazione di specifiche circostanze“.
A seguito dei necessari e dovuti approfondimenti effettuati dal Consiglio Superiore della Magistratura emerse che le due toghe usarono “toni marcatamente offensivi, denigratori e pure evidentemente minacciosi nei confronti dei soggetti escussi” condotta assolutamente incompatibile con la loro funzione svolta. Durante alcuni interrogatori i due magistrati “avevano usato – secondo quanto confermato dalla Suprema Corte – modalità intimidatorie, violenze verbali e minacce sui testimoni per costringerli ad incolpare alcuni imputati di avere preso tangenti“. Pesce e Ruggiero si erano sempre difesi affermando che si erano limitati a richiamare le persone oggetto della loro attività di indagine circa i rischi cui sarebbero andati incontro in caso di dichiarazioni mendaci, ma il procedimento penale nei confronti dei due magistrati ha chiarito in maniera definitiva le loro responsabilità.
La Sezione disciplinare del Csm aveva già disposto la sospensione dalle funzioni di Ruggiero (per 2 anni) e di Pesce (per 9 mesi), disponendo il trasferimento del primo presso il Tribunale di Torino e del secondo al Tribunale di Milano, entrambi però con funzioni di giudice civile.
Lo scorso settembre 2023, i due magistrati Pesce e Ruggiero avevano proposto ricorso per Cassazione, rispettivamente con quattro motivi, illustrati da memoria finale, e con cinque motivi. Il procuratore generale ha chiesto il rigetto di entrambi i ricorsi. Tra i passaggi più significativi della sentenza pubblicata ieri si segnala quello in cui i giudici della Cassazione esaminano la possibilità, in materia di procedimento disciplinare a carico di magistrati, che la Sezione disciplinare del Csm possa disporre il trasferimento ad altra sede o ad altro ufficio. L’interpretazione della norma (il riferimento è all’articolo 13, primo comma, del D. lgs. 106/ 2006) prevede entrambe le misure, “senza escluderne il cumulo, poiché la ratio della norma non è quella di sanzionare ulteriormente il magistrato, ma di impedire che il contesto ambientale in cui esso opera, rispetto al quale sono rilevanti sia la sede che le funzioni svolte, determini ulteriori violazioni disciplinari lesive del buon andamento della giustizia: tutelando, pertanto, un interesse pubblico riconducibile all’articolo 97 della Costituzione e all’intero Titolo IV della Costituzione“.
Michele Ruggiero nel terzo dei motivi del ricorso presentato aveva contestato la “manifesta illogicità della motivazione“, in quanto la Sezione disciplinare del Csm ha disposto nei propri confronti, unitamente alla sanzione di sospensione dalle funzioni giudiziarie per la durata di due anni, il trasferimento d’ufficio al Tribunale di Torino, “con l’obiettivo del proprio radicale allontanamento dal distretto nel quale avrebbe commesso le condotte incriminate“. Inoltre, l’ex sostituito procuratore, ha considerato “punitivo” il trattamento nei propri confronti da parte del Csm, in quanto contrario al principio di buon andamento dell’amministrazione della giustizia, “in violazione pure del diritto al rispetto della propria vita familiare“. Ma anche su questo punto la Cassazione si è pronunciata, ritenendo inammissibile il motivo del ricorso di Ruggiero.
L’argomentazione delle Sezioni Unite della Suprema Corte è molto chiara. “Secondo insegnamento consolidato di queste Sezioni Unite – scrivono gli ermellini -, in materia di procedimento disciplinare a carico di magistrati, l’applicazione della sanzione accessoria del trasferimento d’ufficio, salvo il necessario presupposto rappresentato dall’irrogazione di una sanzione principale, diversa dall’ammonimento e dalla rimozione, è rimessa ad un apprezzamento di fatto della Sezione disciplinare del Csm, non sindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato“.
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