ROMA – Associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari, alla turbata libertà negli incanti, peculato e falso in atto pubblico, sono le accuse che a vario titolo, hanno portato all’arresto (in carcere) del giudice del Tribunale di Pisa, Roberto Bufo, e di Virgilio Luvisotti ex consigliere regionale , posto agli arresti domiciliari. A Luvisotti nel dicembre del 2017 era stato consegnato il diploma di Onorificenza dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana .
Luvisotti è anche presidente dell’Associazione nazionale Istituti vendite giudiziarie ed è stato consigliere regionale ed esponente di Alleanza nazionale poi passato al Gruppo Misto, mentre Bufo per un breve periodo è stato assessore alla sicurezza del Comune di Portoferraio. Per lui, nel 2010, anche l’esperienza di assessore in un’altra amministrazione toscana: il Comune di Vergemoli. Bufo, 56 anni, è residente a Carrara e in servizio al tribunale di Pisa , in precedenza era pubblico ministero a Massa.
Bufo aveva ricoperto sino a pochi anni fa il ruolo di giudice civile al Tribunale di Lucca. Sono 7 in tutto le persone coinvolte. Insieme al magistrato sono finiti in carcere anche tre professionisti Roberto Ferrandi, Francesca Ferrandi e Oberto Cecchetti, mentre ai domiciliari, oltre a Luvisotti con un lungo passato come esponente di Alleanza Nazionale, sono finiti anche l’architetto Luca Paglianti e Giovanni Avino direttore dell’Ivg . Ad eseguire gli arresti i Carabinieri del comando provinciale di Massa, coordinati dalla procura della Repubblica di Genova nell’ambito dell’indagine ‘La giustizia di Zorro’.
Luvisotti ed Avino sono accusati di avere ceduto fittiziamente una Mercedes Glk usata del valore di circa 12 mila euro al giudice Bufo ( che gli è stata sequestrata) affinché assegnasse loro incarichi di custodia e di vendita di un maxi yacht la cui base d’asta sfiorava i 4 milioni di euro e circa 300 mila euro di provvigioni all’istituto di vendite giudiziarie per indennità di sosta del bene custodito e in seguito per avere “ritardato un atto del proprio ufficio e avere favorito la parte acquirente“. I Carabinieri di Massa Carrara che hanno eseguito gli arresti hanno anche perquisito le abitazioni e gli uffici degli indagati sequestrando “ingente documentazione probatoria” e posto sotto sequestro “tutti gli hardware e software in uso agli arrestati“.
In carcere è finito anche un commercialista Roberto Ferrandi, 65 anni di Massa Carrara, incaricato delle vendite giudiziarie presso il Tribunale di Massa nell’ambito delle esecuzioni civili, sua figlia Francesca, avvocato trentenne, curatore delle eredità giacenti e tutore per le amministrazioni di sostegno con nomina specifica del tribunale di Pisa, e Oberto Cecchetti, 72 anni, romano, giudice di pace in quiescenza e avvocato del foro di Pisa e curatore per le eredità giacenti con nomina del tribunale pisano.
Ai domiciliari sono finiti oltre a Luvisotti, il suo braccio destro all’Ivg Giovanni Avino, 36 anni di Pisa, Luca Paglianti, 53 anni di Pontedera ( Pisa), architetto e dipendente della Provincia di Pisa oltre che Ctu del tribunale pisano. Secondo gli inquirenti Bufo, Roberto e Francesca Ferrandi, Paglianti e Cecchetti si erano associati tra loro per commettere un numero indeterminato di delitti sia di corruzione in atti giudiziari sia di corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio, turbata libertà degli incanti, peculato e falsi ideologici in atti pubblici.
Negli ambienti investigativi si spiega che il magistrato e il commercialista carrarese avrebbero promosso condotte finalizzate all’appropriazione illecita “di somme di denaro destinate allo Stato giacenti all’interno di assi ereditari e amministrazioni di sostegno non riscosse da eredi o enti pubblici, inserendo la figlia di Ferrandi nel sodalizio” affidandole “sistematicamente in violazione delle regole procedurali incarichi di amministrazioni di sostegno e curatele” al fine di poter ottenere una gestione delle pratiche compiacente. Secondo l’accusa invece il Paglianti effettuava “compiacenti valutazioni degli immobili“delle eredità mentre Cecchetti si fingeva come un “creditore fittizio dei compendi ereditari“. Sempre secondo gli inquirenti genovesi, il magistrato sfruttando il proprio ufficio pubblico e coordinando l’attività di altri professionisti che gestivano i beni avrebbe favorito l’appropriazione di somme di denaro che avrebbero dovuto essere restituite all’erario.