di Attilio Bolzoni
Hanno lavorato con lui, fianco a fianco fin da quando ha iniziato ad ideare quel capolavoro d’ingegneria giudiziaria che è stato il maxi processo a Cosa Nostra. Con loro ce n’erano altri che non ci sono più — come Rocco Chinnici e i poliziotti Beppe Montana e Ninni Cassarà, o come Antonino Caponnetto e Antonio Manganelli — ma quelli che ritroverete qui lo possono raccontare ancora oggi.
L’hanno incontrato tutti nel piccolo bunker del Palazzo di Giustizia di Palermo, hanno visto nascere sulla sua scrivania le prime e più rilevanti indagini antimafia, hanno accompagnato per almeno un decennio la straordinaria avventura di un magistrato italiano. Dopo le celebrazioni fastose del venticinquesimo anniversario del 2017 per commemorare le vittime di Capaci e di via D’Amelio, un anno dopo ricordiamo Giovanni Falcone attraverso voci che portano memoria diretta del giudice, del suo talento investigativo, della sua passione civile, della forza delle sue idee e — per riprendere le parole di Giuseppe D’Avanzo — dell’«eccentricità rivoluzionaria del suo riformismo».
Da domani il blog Mafie su Repubblica.it, ogni giorno per quasi due settimane, descriverà quello che tutti indicano come il “metodo Falcone”. Fuori dalla retorica e fuori da quell’enfasi che ha snervato e a volte anche sfregiato la figura di quello che è stato un “italiano fuori posto in Italia” , queste sono testimonianze che ci ripropongono il Giovanni Falcone magistrato e la sua sapienza giuridica. Cosa era quello che poi è stato definito il suo “metodo”? Come è cambiata — grazie a lui — la storia della lotta alla mafia nonostante le umiliazioni subite da vivo e anche da morto?
Ce lo spiegano una dozzina di personaggi, tutti rappresentanti delle istituzioni che nelle fasi più significative della sua esistenza gli sono stati molto vicini. Giudici, poliziotti, carabinieri, finanzieri, impiegati civili del ministero della Giustizia. Alcuni ci hanno offerto un contributo inedito. Ciascuno di loro ha raccontato un “pezzo” di una vicenda siciliana iniziata nei primi mesi del 1980 e in parte chiusa con le stragi del ’92. Nel piccolo bunker hanno avuto anche origine i reparti speciali investigativi come lo Sco della Polizia con Gianni De Gennaro e il Gico della Finanza. E anche il Ros dei Carabinieri.
Proprio dalla visione ampia degli scenari mafiosi che aveva quel giudice e dalla necessità di oltrepassare con le indagini i confini provinciali, Falcone ha avuto l’idea di creare gruppi super specializzati che avessero libertà di manovra su tutto il territorio nazionale. Suo interlocutore principale nell’Arma era il capitano Mario Parente, che poi del Raggruppamento Operativo Speciale ne è diventato il comandante. Una stanza di Tribunale che è stato un “laboratorio” della lotta alla mafia e che ha formato funzionari dello Stato che hanno dato grande prova di sé nei decenni successivi.
Tra gli autori di queste testimonianze i magistrati del pool (Giuseppe Di Lello, Leonardo Guarnotta, Ignazio De Francisci, Gioacchino Natoli), l’ex presidente del Senato Pietro Grasso che il maxi processo l’ha “visto” come giudice a latere della Corte di Assise, Giuseppe Ayala che ha sostenuto l’accusa. E il capitano della Guardia di Finanza Ignazio Gibilaro, oggi comandante delle Fiamme Gialle in Sicilia, l’ufficiale dei Carabinieri Angiolo Pellegrini che insieme a Ninni Cassarà e Beppe Montana firmò il rapporto “Michele Greco+161” che diede origine al maxi processo, il giovane funzionario della Criminalpol Alessandro Pansa che diventerà il capo della polizia. C’è anche la preziosa testimonianza di Guglielmo Incalza, il dirigente dell’“Investigativa” della Squadra Mobile di Palermo, il primo poliziotto che ha collaborato con Falcone nell’indagine sugli Spatola e gli Inzerillo.
Un articolo è firmato da Vincenzina Massa, giudice palermitana che ha iniziato la sua carriera come uditore proprio nella stanza di Falcone. Un altro ricordo è di Giovanni Paparcuri, il fidato collaboratore informatico del giudice che ha voluto un museo in onore di Falcone e Borsellino nei locali dove i due lavoravano.