ROMA – La fine anche per via giudiziaria dello strapotere esercitato Marco Jacobini e suo Gianluca, rispettivamente ex presidente ed ex numero 2 , della Banca Popolare di Bari, il più grande istituto creditizio del Mezzogiorno, e del suo crac da 2 miliardi di euro, ha avuto questa mattina all’alba con il loro di arresto.
Finisce così di fatto anche la carriera anche di Vincenzo Figarola De Bustis, il banchiere “protagonista” di alcuni dei passaggi più discutibili della storia della finanza italiana, in precedenza al vertice di Banca 121, Monte dei Paschi di Siena, Deutsche Bank e della Banca Popolare di Bari, di cui è stato prima direttore generale e poi, amministratore delegato fino al giorno del commissariamento della banca barese disposto da Bankitalia lo scorso dicembre. Il gip Pellecchia ha disposto nei suoi confronti la misura cautelare dell’interdizione per un anno dalle funzioni bancarie e dalla dirigenza di società.
Il gip Francesco Pellecchia del Tribunale di Bari ha disposto gli arresti domiciliari – accogliendo le richieste del Procuratore aggiunto Roberto Rossi e del sostituto Federico Perrone Capano – dell’ex presidente della banca, Marco Jacobini e di suo figlio Gianluca, ex vicedirettore generale ed attuale condirettore. Insieme a loro posto agli arresti domiciliari anche Elia Circelli, l’ ex responsabile della Funzione bilancio e amministrazione della Direzione operations.
Il giudice nella sua ordinanza cautelare scrive che dal “quadro generale appare evidente che la struttura della banca è ancora sottoposta al controllo di fatto della famiglia Jacobini e dei soggetti per i quali si è chiesta la misura. Appare pertanto necessario e urgente impedire che tale potere illecito impedisca il risanamento della Banca con i devastanti effetti sull’economia meridionale. In particolare il potere di fatto della struttura imprenditoriale impedirebbe l’emersione dei dati contabili (in particolare la situazione dei crediti falsamente classificati come in bonis) necessari per identificare le cifra necessarie per il risanamento della banca“.
Le esigenze cautelari vengono così spiegate: “Tale situazione, anche considerati i fatti che concernono gli illeciti connessi alla Banca popolare di Bari, pone gli indagati non solo in condizione di poter potenzialmente reiterare i reati contestati, ma anche di poter eventualmente porre in essere condotte tese ad un inquinamento probatorio“.
Marco Jacobini avrebbe percepito nel 2018 compensi per oltre 3 milioni di euro dalla Banca Popolare di Bari, di cui era presidente e amministratore di fatto. E’ uno dei particolari che emergono dall’indagine sulla presunta malagestione dell’istituto di credito barese, riportati nell’ordinanza di arresti domiciliari . Negli atti, in relazione ai 3 milioni di euro percepiti dall’ex presidente, si parla di importo “smisurato soprattutto con riferimento alle funzioni svolte all’interno della Banca e se rapportato alla situazione di grave dissesto patrimoniale della banca». Si ricorda anche che quel compenso è anche oggetto di una delle contestazioni di ostacolo alla vigilanza di Banca d’Italia, tuttavia non riconosciuta dal gip in quando «condotta meramente omissiva, non accompagnata da alcun mezzo di natura fraudolenta”.
Le decisioni della magistratura barese è conseguente all ’inchiesta condotta dal Gruppo tutela mercato capitali, articolazione del Nucleo di Polizia economico finanziaria del comando provinciale Guardia di Finanza di Bari, avviata sotto il comando del Gen. Nicola Altiero, specializzata nel contrasto ai reati societari e bancari, che si è avvalso anche dell’ausilio di consulenti tecnici nominati dalla Procura, e conta dieci indagati. Infatti oltre ai quattro top-manager per i quali il gip ha disposto le misure cautelari, sono stati indagati anche Luigi Jacobini, l’altro figlio di Marco ; Giorgio Papa, ex amministratore delegato della BpB da maggio 2015 a dicembre 2018,; Alberto Longo e Roberto Pirola, entrambi ex presidenti del Collegio sindacale; Giuseppe Marella, dal 2013 Responsabile dell’Internal Audit della Popolare di Bari a diverso titolo, di falso in bilancio e ostacolo alla vigilanza, per le false comunicazioni inviate alla Consob e alla Banca d’Italia.
L’indagine della Procura di Bari ha consentito di accertare la esposizione nei bilanci di esercizio relativi alle annualità 2014, 2015, 2016, 2017 e di dati non veritieri nella semestrale 2018 al fine di occultare perdite di rilevante entità subite dalla Popolare in maniera tale da gonfiare artificiosamente il patrimonio della banca e trarre in inganno i soci ed il pubblico sulla reale situazione dell’Istituto di Credito così riepilogante nell’ordinanza del Gip:
a) fittizie operazioni di cartolarizzazione consistenti nella cessione di crediti deteriorati ad una società finanziaria, la Chariot Funding LLC, e nel successivo riacquisto da parte della stessa Banca Popolare di Bari, degli strumenti finanziari che detta società aveva messo in vendita allo scopo di finanziare la cessione. Detta operazione, avvenuta a cavallo dei due bilanci di esercizio,ovvero nel 2017 la cessione dei crediti deteriorati e nel 2018 l’operazione di acquisto dei titoli, apparirebbe esclusivamente finalizzata a rappresentare l’esistenza di una liquidità, indicata nel bilancio 2017 pari a 500 milioni di euro, di fatto inesistente in quanto riutilizzata l’anno seguente per il riacquisto dei titoli emessi dalla stessa società di cartolarizzazione;
b) l’indebita contabilizzazione negli anni dal 2015 al 2018 di imposte anticipate sulla perdita fiscale per complessivi 141 milioni di euro, pur essendo emersa la piena consapevolezza che la banca non avrebbe potuto conseguire negli anni successivi gli utili necessari per riassorbire dette perdite fiscali;
c) l’omessa svalutazione degli avviamenti relativi agli anni 2014, 2016 e 2017, riferiti a rilevanti partecipazioni detenute dalla banca nelle seguenti società: Fusione ex Nuova Banca Mediterranea, Ramo d’azienda Gruppo Intesa San Paolo, Fusione ex Banca Popolare di Calabria, Ramo d’azienda promozione finanziaria da ex Popolare, Bari Servizi Finanziari SIM Spa, Fusione ex Banca Popolare della Penisola Sorrentina, Tercas – Cassa di Risparmio della Provincia di Teramo Spa e Banca Caripe Spa, mediante la reiterata violazione dei principi contabili che presiedono alla redazione dei bilanci e delle norme di carattere tecnico che invece imponevano il ridimensionamento del valore degli avviamenti per complessivi euro 397.666.126;
d) l’indebito appostamento nei bilanci relativi agli anni 2016 e 2017 di attività pari a 42 milioni di euro derivanti da un credito vantato verso l’Ente Ecclesiastico Ospedale Francesco Miulli, la cui inesigibilità era invece nota stante l’ammissione dell’Ospedale Miulli alla procedura del concordato preventivo.
Tutti gli indagati sono uniti allo stesso comune destino processuale impiantato intorno ad un pesante capo di accusa all’interno del quale sono stati contestati bel 13 episodi di falso in bilancio, commessi negli anni tra il 2014 e il 2018; un episodio di falso in prospetto relativo alla vendita delle azioni; 6 di ostacolo alla vigilanza, ai danni della Consob e Banca d’Italia; maltrattamenti e estorsioni nei confronti di Luca Sabetta, ex chief risk officer, la “gola profonda” in questa vicenda per gli investigatori , che aveva intravisto per primo il crac della Banca motivo per cui dopo essere stato “mobbizzato”, aveva deciso di collaborare con la Procura.
Quella di Luca Sabetta non è stata tuttavia la sola testimonianza, che ha reso possibile accertare e documentare con una serie di registrazioni occultate durante i suoi incontri con De Bustis le scelte scellerate della governance che portarono al crac. Infatti negli atti dell’inchiesta viene riportata la collaborazione altrettanto decisiva del manager Benedetto Maggi all’epoca dei fatti vice responsabile della Direzione crediti, il quale di fronte ai pubblici ministeri, ha confermato a verbale il 17 dicembre 2019, l’operato degli Jacobini che continuavano a controllare ogni scelta della banca nonostante avessero formalmente perso ogni carica.
Cioè anche dopo l’estate del 2019 quando il governo guidato dal premier Conte aveva esercitato pressioni perchè il management facesse un passo indietro, consegnando di fatto la guida della banca a Vincenzo De Bustis, ed a un nuovo presidente: il professor Gianvito Giannelli, che era il nipote di Marco Jacobini.
Il manager Benedetto Maggi ha consentito con le sue deposizioni rese ai pubblici ministeri, la lunga serie di anomalie che aveva continuato ad impedire di fatto ogni tentativo di esercitare delle pratiche bancarie corrette, nello stesso tempo in cui la banca barese continuava a ripetere per rassicurare investitori, risparmiatori e la stessa Banca d’Italia. Spiegando che mentre i piccoli azionisti (quasi tutti agricoltori, casalinghe, pensionati cioè non degli speculatori di borsa) invano tentavano di rientrare almeno in parte di un patrimonio investito che si era già pesantemente svalutato a seguito del crollo del valore delle azioni sulle quali avevano investito, mentre nello stesso tempo i grandi debitori, che si possono definire gli “amici” della banca, continuavano a godere di nuove linee di credito.
Come esempio accaduto recentemente con il gruppo Fusillo dichiarato fallito, con la società EDISUD (ex-)proprietaria del quotidiano barese La Gazzetta del Mezzogiorno confiscato su richiesta della DDA di Catania, ed a tanti altri per i quali garantivano Marco e Gianluca Jacobini, sempre puntualmente presenti, peraltro senza averne alcun diritto ed autorità al comitato crediti della Banca che quei prestiti erogava, impedendo che la loro presenza venisse resa nota e verbalizzata . Il manager Benedetto Maggi ha spiegato agli investigatori che “Marco governava la banca con uno sguardo” senza alcun bisogno di parlare, di telefonare o di scrivere mail .
Infatti Marco Jacobini e suo figlio Gianluca hanno continuato sino alla fine a fare e disfare quello che volevano . Come ad esempio l’ultima operazione effettuata il 20 dicembre 2019 con il trasferimento dei propri depositi ( il solo Marco ben 5 milioni di euro) dalla Banca Popolare di Bari alla Banca Popolare Pugliese utilizzando un passaggio-ponte dei fondi attraverso un conto della Banca Sella. Un’operazione che ha fatto scattare l’arresto.