di Marcello Zacché
Oltre a pretendere la lista dei debitori delle banche, bisognerebbe cominciare a parlare anche di quella dei banchieri.
Da qualche giorno a questa parte ha preso forza, come un virus, la richiesta dei nomi dei primi 100 debitori insolventi delle aziende di credito che, come il Monte dei Paschi, sono destinate ad essere salvate dallo Stato e cioè con i soldi dei contribuenti. Fuori i nomi dunque: a prima vista è difficile non essere d’accordo.
Ma questa è solo una parte del problema. Ed è la più scivolosa: se ci si fa coinvolgere in un atteggiamento giacobino di questo tipo, si rischia di imbracciare il forcone prima ancora di capire contro chi lo si vorrebbe utilizzare e perché.
In Italia il cortocircuito tra i maggiori azionisti delle banche e certi loro grandi clienti, attraverso la mediazione degli strapagati top manager e sotto l’occhio vigile della Banca d’Italia, è sotto gli occhi di tutti almeno dalla fine del secolo scorso. Il fatto stesso che grandi imprenditori, costruttori in particolare, fossero – più o meno al tempo stesso – azionisti, amministratori e clienti a vario titolo del medesimo gruppo bancario rappresentava il terreno ideale per operare senza adeguati controlli.
Mentre in casi di difficoltà, la regia della Banca d’Italia permetteva ai grandi soci di banche scassate di venire salvati da quelli delle aziende più sane. Che così si ammalavano anch’esse.
I top manager, che sono i responsabili di ultima istanza delle grandi operazioni, mettevano la loro firma. In cambio hanno ricevuto per tre lustri (e ancora molti di loro ricevono) stipendi che nel ‘900 non si erano mai visti: nessuno guadagnava, con le lire, 5, 6 o 10 miliardi l’anno; che a volte lievitavano con i mitici e altrettanto misteriosi «bonus» fino al doppio. Eppure, da un certo momento in poi, questa cosa è diventata normale. Così come lo è diventata anche la prassi delle liquidazioni da 20-40 milioni di euro per quelli che, terminato il lavoro, se ne andavano.
Questo è un giornale di tradizione liberale che crede nel libero mercato. Ma abbiate pazienza: a noi umani il sospetto che dietro a certe cifre ci fosse l’adeguato risarcimento per aver agito più nell’interesse di alcuni soci (che facevano in modo di deliberarlo) piuttosto che in quello della società che lo pagava realmente, ci sta tutto. Specialmente «a valle» di certi risultati disastrosi lasciati in eredità. A chi? A noi contribuenti, pare.
*commento tratto dal quotidiano IL GIORNALE