“Una latitanza così lunga come quella di Matteo Messina Denaro si può comprendere soltanto in funzione di coperture istituzionali e forse anche politiche”. Ne è convinto il consigliere del Csm Nino Di Matteo parlando della latitanza del capomafia Matteo Messina Denaro ,a Tg2 Post: “E’ gravissimo che, dopo 27 anni, lo Stato non riesca ad assicurare alla giustizia un soggetto condannato tra i principali ispiratori degli attentati del ’93 di Roma, Firenze e Milano che fecero temere al presidente Ciampi che fosse in atto un golpe“, aggiunge.
Ieri, intervistato dal conduttore Luca Salerno e Francesco Vitale per Tg2 Post, ha ricordato ancora una volta il percorso fin qui svolto, ribadendo che “non è vero che non sappiamo nulla sulla strage di via d’Amelio”. “Dopo gli iniziali depistaggi ed errori – ha spiegato – già dal 1995 e dal 1996 le indagini dei processi hanno consentito di accertare passaggi importanti. I processi ci consentono oggi di dire che la strage di via d’Amelio è stata una strage di mafia, ma non solo. E per colmare questi buchi di verità, dando un nome e cognome a quegli uomini estranei a Cosa nostra che hanno compartecipato all’organizzazione e probabilmente alla stessa esecuzione della strage, dobbiamo concentrarci su due fattori: capire perché improvvisamente nel giugno del ’92, rispetto a un progetto assolutamente generico di uccidere il dottor Borsellino, viene accelerata da Salvatore Riina questa volontà di eliminare subito il magistrato. E poi dobbiamo inquadrare quella strage in contesto più ampio di sette stragi che hanno caratterizzato il biennio del 1992-1994. Dobbiamo cercare di capire quale fu la strategia di Cosa nostra e mi sento di dire, sulla base della mia conoscenza degli atti dei processi, non soltanto di Cosa nostra”.
“Matteo Messina Denaro è certamente custode di segreti di quel periodo, di quella campagna stragista del 1993 che lo rendono in grado ancora di esercitare un potere di ricatto nei confronti delle istituzioni”, ha detto ancora Di Matteo aggiungendo: “Ecco perché sarebbe veramente un segnale bello se finalmente venisse rintracciato, arrestato”.
“Le scarcerazioni hanno costituito un segnale devastante”. Ne è convinto Di Matteo. “Un segnale devastante da un punto di vista concreto e anche simbolico – dice il magistrato – centinaia di condannati definitivi per mafia sono tornati a casa ai domiciliari e da un punto di vista concreto perché hanno avito la possibilità di riallacciare contatti criminali e si è provocato un effetto molto pericoloso”. Per Di Matteo le scarcerazioni hanno rappresentato un segnale anche “da un punto di vista simbolico” perché “penso a come il popolo che subisce quotidianamente le violenze mafiose ha potuto interpretare il fatto che il capomafia torna a casa. Per me è il segnale di resa dello Stato”.
“Con tutto il rispetto per le pronunce delle Corti europee sul 41 bis penso che risentano di un fraintendimento di fondo. Il 41 bis non è una misura afflittiva, ma è una misura di prevenzione, per prevenire il pericolo che si perpetui quello che è sempre accaduto in passato, cioè che il capomafia detenuto continui a comandare” ha detto a Tg2 Post Nino Di Matteo consigliere togato del Csm aggiungendo “Probabilmente deve essere meglio applicata nei confronti di chi effettivamente comanda“.
“Ho già riferito alla Commissione antimafia, ho detto anche le parole del ministro della Giustizia Bonafede che fece riferimento a ‘mancati gradimenti’ o ‘diniegh’i che erano intervenuti per la mia nomina al Dap. Bonafede dovrebbe spiegare a chi o a cosa si riferisse“, ha sottolineato.