di Emiliano Fittipaldi e Federico Marconi
Due settimane fa il premier Giuseppe Conte (dopo che alcuni media internazionali hanno rilanciato l’inchiesta dell’Espresso che lo scorso giugno svelò tutti i dettagli del concorso universitario a cui il presidente del Consiglio stava partecipando) è stato costretto a una repentina marcia indietro, abbandonando la corsa alla cattedra della Sapienza che fu del suo maestro Guido Alpa.
Ora l’Espresso, in edicola da domenica 23 settembre, ha scoperto – analizzando report economici, documenti interni all’ateneo e intervistando membri della commissione giudicante dell’ateneo romano – nuove incompatibilità ed evidenti conflitti di interessi nella genesi del concorso, nella composizione della commissione giudicante, nei profili dei professori che avrebbero dovuto valutare i titoli di Conte.
Il presidente della commissione, indicato il 13 marzo 2018 dall’ateneo a pochi giorni dalla chiusura del bando, è infatti il professor Enrico Del Prato, direttore del dipartimento di Scienze giuridiche che ha bandito il concorso. Del Prato è arrivato alla Sapienza nel 2013 dall’università di Macerata. Vincendo una selezione anche grazie al giudizio entusiasta di un collegio presieduto proprio da Alpa, maestro e collaboratore di Conte. Ma Del Prato a giugno del 2017 – prima del bando romano – aveva pure indicato Conte come presidente di un arbitrato milionario alla Camera arbitrale di Milano, nel quale lo stesso Del Prato era arbitro di parte.
Si tratta della delicata causa internazionale tra la Sogered, una società dell’Arabia Saudita, e la nostra Leonardo-Finmeccanica, il cui arbitro di parte è invece l’avvocato Giorgio De Nova. Valore della lite: 27 milioni di euro complessivi, di cui 18 milioni pretesi dagli arabi e nove richiesti da Leonardo con una contro-domanda. L’arbitrato inizia nella primavera dell’anno scorso.
A fine giugno del 2017 i due co-arbitri indicati dalle due società contendenti devono indicare un presidente del collegio. E decidono di scegliere l’avvocato Conte. Un incarico che il professore mantiene per quasi un anno. Anche dopo la sua decisione di partecipare al concorso della Sapienza. Anche dopo il 13 marzo 2018, quando il suo co-arbitro Del Prato viene indicato dall’ateneo romano come presidente della commissione d’esame che avrebbe giudicato i suoi titoli nei mesi successivi.
Durante la procedura concorsuale, dunque, si verifica il rischio di una doppi incompatibilità: quella di Del Prato futuro “giudice” di Conte e quella di Conte, diventato ago della bilancia di una lite milionaria proprio per volontà di Del Prato. Per mesi nessuno dei due fa un passo indietro. Conte lascerà l’arbitrato solo il 25 maggio, spiegando in una lettera (come ci ha confermato De Nova) di declinare l’incarico nell’arbitrato solo a seguito della chiamata di Sergio Mattarella.
Del Prato spiega oggi che non esisteva alcuna questione di incompatibilità tra concorso e arbitrato. “Non faremmo mai scorrettezze. Tutti noi teniamo alla nostra buona fama” si giustifica. “Inoltre – a parte le “voci” lette sul pezzo dell’Espresso – ho conosciuto ufficialmente i nomi dei candidati al concorso solo il primo agosto, come prevede il regolamento dell’ateneo. Conte non mi aveva mai detto che aveva partecipato al bando. Nemmeno durante le udienze dell’arbitrato avute ad aprile“.
Oggi la lite è ancora pendente e ha un nuovo presidente, l’avvocato francese Alexis Mourre. Se Conte non si fosse dimesso per l’incarico avuto da Mattarella, avrebbe guadagnato, grazie all’indicazione di Del Prato ( a lato nella foto) e Del Nova, un bel gruzzoletto. “Non esageriamo con le cifre però” dice ancora Del Prato. “Sono tariffe prestabilite dalla Camera Arbitrale di Milano: credo che alla fine, per un arbitrato di questa entità, non si arriverà a più di 200-300 mila euro, da dividere per tutti e tre gli arbitri. Io per me ho indicato, nella richiesta di autorizzazione che ho mandato alla Sapienza, un compenso ipotetico di 80 mila euro“.
Altro mistero: come poteva Del Prato, che come direttore del dipartimento di scienze giuridiche ha l’obbligo del “tempo pieno”, essere arbitro di una lite milionaria? La legge Gelmini prevede infatti che gli avvocati che puntano sulla carriera universitaria non possano esercitare la professione, mentre all’Espresso risulta che il professore Del Prato abbia fatto altri arbitrati e più di un parere. E che esista, in viale Bruno Buozzi a Roma, uno “studio Del Prato” a lui riconducibile. Il docente spiega così la sua posizione. “Io prima facevo l’avvocato in proprio, e non avevo mai avuto uno studio associato. Quando i miei colleghi della Sapienza mi hanno sollecitato a fare direttore dipartimento a tempo pieno, io ho detto di sì. Ma volevo evitare di disperdere la mia clientela. Così, dopo averne parlato con il rettore e gli uffici preposti dell’ateneo e aver studiato la legge Gelmini che permette attività di consulenza, ho deciso di costituire un nuovo studio associato fatto su misura per le mie esigenze. Nel quale io non potessi fare attività professionale o prendere incarichi, ma seguire le attività consentitemi dalla Gelmini“.
Del Prato ammette che tutta l’operazione fu “prospettata all’ateneo, che mi autorizzò”. Il direttore del dipartimento, alla fine della fiera, è così diventato consulente dello stesso studio di cui lui è associato principale, tanto da portare il suo nome nel marchio. “È tutto regolare”, conclude. Ma non sembra essere esattamente così.
L’inchiesta integrale su L’Espresso in edicola da domenica 23 settembre