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23 Dicembre 2024 00:17

Diritti e Doveri dei Minori nella Rete. Un tema su cui concentrarsi

La soluzione è quindi quella di una informazione all’uso della rete che sia aggiornata e condivisa tra tutte le generazioni dei fruitori, non può esserci da parte dei genitori una capacità di tutela dei minorenni senza una base di conoscenza delle dinamiche che differiscono il mondo attivo del web e dei social network rispetto a quello passivo della televisione

di Paolo Campanelli

ROMA – Si è svolto presso la Suprema Corte di Cassazione, un’interessante convegno dal titolo “Diritti e Doveri dei Minori Nella Rete“, centrato su i reati dei minori nel web e il cyberbullismo. Dopo una breve introduzione sull’argomento da parte del presidente dell’Ordine degli Avvocati di Roma Mauro Vaglio, sono intervenuti l’Avvocato Matteo Santini, la psicoterapeuta dr.ssa Ada Capparelli  , ed il professor Paolo Galdieri docente informatica giuridica presso l’ Università Luiss di Roma .

Sono in molti a pensare che i minori sul web possano essere preda di esperti ed attempati truffatori. Ma in origine le cose erano diverse. Molti ignorano infatti che il concetto di “criminalità informatica” nasce come crimine minorile, data la più semplice adattabilità di una mente giovane alle nuove tecnologie introdotte alla fine del ventesimo secolo; dapprima i molti slittamenti di competenza resero complicato creare delle norme, ma molti passi sono stati fatti da allora nel garantire equità di fronte alla legge, e nel delineare limiti consoni a ciò che definisce il delitto informatico.

La dimensione sovranazionale del web, avrebbe richiesto un coordinamento fra le varie legislazioni, ma la sovranità territoriale ha imposto interventi normativi privi della necessaria armonizzazione. In particolare, ha sostenuto l’avvocato Santini, ogni singolo stato ha creato nuove e attuali figure di reato o, in alcuni altri casi, si è sforzato di adeguare vecchie norme a nuovi fenomeni. Ugualmente l’italia, in particolare con la legge sullo stalking e l’aggiornamento di vecchie norme per essere valide anche sul nuovo media della rete, risulta quasi completamente chiusa alla comunicazione “legale” con il resto dell’unione europea.

È opinione unanime che ulteriori passi debbano essere fatti, soprattutto riguardo al bullismo in rete nelle sue varie forme: il cyberbullismo, a differenza di quello “analogico” è impersonale e instancabile; in rete i bulli non incontrano personalmente le vittime e non devono necessariamente fare parte di uno stesso gruppo, o persino paese, e la vittima può essere attaccata in qualunque momento del giorno e della notte indistintamente.

L’uso non istruito della rete è un problema non evidente, ma comunque reale : il numero di giovanissimi che navigano sulla rete è elevatissimo, con la pressoché totalità di questi autodidatta, e ben il 73% dei ragazzini sotto i 13 anni ha un profilo sui social network, benché non abbia l’età necessaria. Un minorenne su venti è vittima di cyberbullismo in una o più forme dello stesso, oltretutto non potendo contare sull’aiuto dei genitori, che spesso e volentieri per quanto riguarda internet e l’uso della rete, ne sanno molto meno dei figli.

Questa grande ignoranza dei bambini sulla rete (o equivalenti adulti) porta a una paura del web, a un crollo del valore delle fonti e delle rispettive credibilità, e a una decontestualizzazione che non fa altro che alimentare I problemi più comuni in rete, primi fra tutti oltre al bullismo, diffamazione, disinformazione fake news e degrado culturale dei contenuti. Questo processo, inoltre, crea un circolo vizioso di informazioni parziali e imprecise, portando le “folle di genitori arrabbiati” a chiedere forti azioni repressive e nuove norme più severe, spesso in questo confortati dalla parte meno informatizzata della politica. Le leggi in chiave “classica” non riescono a tenere il passo con fenomeni in rete che mantengono un nucleo non subito apparente, ma che cambiano aspetto ad ogni reiterazione, rendendo le “norme ad hoc” inapplicabili al nucleo stesso poiché rimosse dal contesto in cui si sviluppa.

Pubblicata sulla Gazzetta ufficiale la legge n. 71/2017Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo.” che investe la scuola di nuove responsabilità, attribuendo all’amministrazione scolastica, nelle sue varie articolazioni (Miur, USR, Scuole), specifici compiti. La scuola, deve nominare ad esempio un referente e promuovere l’educazione all’uso consapevole della rete internet e l’educazione ai diritti e ai doveri legati all’utilizzo delle tecnologie informatiche.

Attese quindi dal MIUR che  deve adottare entro 30 giorni dall’entrata in vigore della legge (18 giugno 2017) le linee di orientamento che forniranno indicazioni relative ai seguenti aspetti:

  • formazione del personale scolastico, prevedendo la partecipazione di un proprio referente per ogni autonomia scolastica;
  • promozione di un ruolo attivo degli studenti, nonché di ex studenti che abbiano già operato all’interno dell’istituto scolastico in attività di peer education, nella prevenzione e nel contrasto del cyberbullismo nellescuole;
  • previsione di misure di sostegno e rieducazione dei minori coinvolti;
  • un efficace sistema di governance diretto dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca.

Ma per risolvere la situazione secondo la dottoressa Capparelli, ci vorrebbe una maggiore istruzione nell’uso della rete, che dovrebbe essere fatta principalmente nelle scuole e a casa, ma fin troppo spesso le scuole dispongono di pochi computer incapaci di connettersi, e i genitori non sono in grado di insegnare ai propri figli, o credono di saperlo fare. I diritti e i doveri dei minorenni sulla rete sono direttamente correlati a quelli degli adulti: prima che si evolvesse per la condivisione totale, internet era un contenitore d’informazioni, che come un libro, richiede di seguire delle regole per poterlo usare insieme.

La soluzione è quindi quella di una informazione all’uso della rete che sia aggiornata e condivisa tra tutte le generazioni dei fruitori, non può esserci da parte dei genitori una capacità di tutela dei minorenni senza una base di conoscenza delle dinamiche che differiscono il mondo attivo del web e dei social network rispetto a quello passivo della televisione; è indispensabile quindi un modello di conoscenza condivisa senza il quale non può esserci ne dialogo ne consapevole protezione.

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