Adesso che le cose sono chiare, le chiarisce per ItaliaOggi anche l’ex ministro dell’ambiente Corrado Clini, dice la sua sulla vicenda dell’ ILVA. con una lettera inviata al direttore del quotidiano economico nazionale ITALIA OGGI
di Corrado Clini
“Gentile direttore, persino Repubblica ha finito coll’osservare che “senza la crisi dell’ Ilva avremmo avuto 10 miliardi in più di Pil nel triennio 2012-2015″. Dunque, con appena 4 anni di ritardo, anche ambienti editoriali che non erano stati teneri con il ministro Clini, cioè con me, si accorgono delle cose, sia pure a babbo morto. D’altra parte 2012-2015 è esattamente il periodo di riferimento per il programma di risanamento ambientale che avevo predisposto e che il gruppo Riva aveva accettato. Il 26 ottobre 2012, avevo rilasciato l’Autorizzazione Integrata Ambientale con la prescrizione di misure tecnologiche e gestionali da completare entro dicembre 2015 e con investimenti stimati tra 2,5 e 3 miliardi. Il 15 novembre 2012 il gruppo Riva si era impegnato a realizzare e finanziare tutti gli interventi prescritti, e a questo fine era stato destinato un primo miliardo di euro derivante dalla vendita dei prodotti finiti stoccati nelle banchine dello stabilimento e già prenotati dai clienti un fatto storico nella complessa vicenda delle relazioni tra industria e ambiente in Italia.
Ma il 26 novembre 2012 il Gip di Taranto ( Patrizia Todisco n.d.r.) aveva sequestrato i prodotti finiti considerati “corpo del reato” con una decisione senza precedenti. Il Governo aveva dovuto provvedere con un decreto, convertito in legge dal Parlamento quasi all’unanimità (legge 231/2012) per superare il blocco dei prodotti finiti e consentire l’avvio del risanamento ambientale. La legge venne contestata dal Gip di Taranto per incostituzionalità. Il 9 aprile 2013 la Corte Costituzionale aveva respinto le obiezioni, ma il Gip continuò a disapplicare la legge fino al maggio 2013 in attesa della lettura del dispositivo della Corte. Queste date sono importanti per capire il gioco delle parti andato in scena tra il novembre 2012 e il maggio 2013, un autentico “comma 22” per organizzare il commissariamento dell’azienda.
Il blocco dei prodotti finiti stava mettendo Ilva fuori mercato e, nello stesso tempo, impediva l’uso delle risorse necessarie per avviare il risanamento. In questa situazione l’azienda – come previsto dalle norme – aveva chiesto di rimodulare il cronoprogramma degli interventi. Ma le autorità di controllo regionale e nazionale, e i custodi giudiziari, avevano iniziato a sanzionare Ilva per i ritardi nella realizzazione degli stessi interventi che l’azienda chiedeva di rimodulare, attivando l’intervento della Magistratura in contrasto con la direttiva europea e la priorità nazionale del risanamento dell’Ilva sancita dalla legge 231.
Fino a quando sono stato ministro mi sono opposto formalmente a questo giochetto e ho richiamato le autorità di controllo al rispetto della legge. Ma non è servito: nel giugno 2013 il nuovo Governo appena insediato (sotto la pressione del nuovo sequestro dei beni della Riva Fire effettuato dal Gip a chiusura del “comma 22”) ha avviato il commissariamento. Le motivazioni giuridiche e tecniche che non giustificavano il commissariamento, che ho esposto alla Commissione Industria del Senato il 16 luglio 2013, non sono state prese in considerazione. Né è stata presa in considerazione la possibilità di contestare il nuovo sequestro, che la Corte di Cassazione annullerà nel dicembre 2013.
I risultati pratici sono quelli descritti da Roberto Mania nel suo articolo su la Repubblica: una riduzione di quasi il 40% della capacità produttiva (a tutto vantaggio dei competitori internazionali), 1 miliardo di euro di perdita all’anno, 4 mila esuberi previsti. A questi dati vanno aggiunti la proroga di 3 anni dei tempi per la realizzazione del risanamento ambientale, e l’incertezza sulle responsabilità giuridiche e finanziarie del risanamento stesso nel caso in cui un gruppo industriale subentri nella gestione dell’azienda. Eppure il risanamento ambientale era la “priorità delle priorità“, ed io ero stato accusato di arrendevolezza perché avevo fissato il termine del 31 dicembre 2015 e avevo preteso “solo» 3 miliardi di investimenti dalla famiglia Riva“.