ROMA – L’occupazione nelle piccole imprese italiane fra settembre 2016 e settembre 2017 è cresciuta del 3,7%. Un anno fa l’incremento su settembre 2015 si era fermato al 2,8%. Rispetto a dicembre 2014, alla vigilia dell’entrata in vigore delle riforme che hanno significativamente modificato il mercato del lavoro, l’aumento è pari al 9,3%.
Lo rileva l’ Osservatorio mercato del lavoro CNA, curato dal Centro studi della Confederazione, che analizza mensilmente l’andamento dell’occupazione su un campione di oltre 20.500 imprese associate con circa 135mila dipendenti. A settembre rispetto ad agosto l’occupazione ha segnato il passo. Tra un mese e l’altro, infatti, si registra un calo dello 0,2%, il medesimo decremento riscontrato nel 2016. Una variazione congiunturale legata soprattutto alla stagione: a settembre si esauriscono le eventuali esigenze straordinarie legate al lavoro estivo ed è ancora presto per la crescita della domanda stimolata dalle festività natalizie.
In un anno l’aumento delle assunzioni e delle cessazioni è proceduto in parallelo: rispettivamente del 31,3% e del 30,8%. L’incremento delle assunzioni è stato trainato dai contratti a tempo determinato (+27,8%), dall’apprendistato (+13,6%) e dal lavoro intermittente (+388%), un dato quest’ultimo dovuto al limitato numero di casi. I contratti a tempo indeterminato hanno registrato, invece, una riduzione del 3,1%. Sul fronte delle cessazioni, viceversa, la dinamica ha riguardato tutte le tipologie contrattuali: +204,5% il lavoro intermittente, +33,9% l’apprendistato, +27% il tempo determinato, +7,9% il tempo indeterminato.
Numeri che rafforzano una tendenza alla ricomposizione dell’occupazione nelle piccole imprese. I contratti a tempo indeterminato rappresentano ancora, e nettamente, la tipologia più applicata dalle piccole imprese. Ma con meno del 70% del totale (il 69,3%, per la precisione) contro l’85,4% di dicembre 2014. Al contrario, nei quasi tre anni sotto osservazione, i contratti a tempo determinato sono cresciuti del 12,8% fino a toccare il 19,4% complessivo, i contratti di apprendistato sono passati dal 5,5% all’8,6% e il lavoro intermittente dal 2,5% al 2,7%. Una ricomposizione dovuta alle riforme (che hanno facilitato la flessibilità) e anche alla fragilità della crescita. Ma che non mette in discussione né il forte incremento dell’occupazione né la sua qualità.