di REDAZIONE POLITICA
C’è sempre una frase del premier Mario Draghi nelle conferenze stampa che gli ritaglia un profilo di spicco nelle liturgie europee. Nel precedente incontro il premier disse qualcosa di molto forte, attaccando il presidente turco Erdogan definito “dittatore con cui dobbiamo essere franchi e pronti a collaborare”. Oggi si è soffermato su qualcosa di più “leggero”, ma non meno amaro da ascoltare per i leader dei Paesi del Nord Europa membri dell’Ue, che sono i più affezionati all’austerity messa da parte a causa dalla pandemia.
Draghi parlando del debito pubblico ‘monstre’ italiano previsto al 159,8 per cento l’anno prossimo, il premier non prevede una stagione di scontri con i falchi del rigore. “Nelle conversazioni fatte a livello europeo” ha Draghi, “nessuno ha posto l’eventualità del ritorno alle regole com’erano, è una discussione complessa che durerà tutto il prossimo anno…”. Anche un ‘falco’ come Valdis Dombrovskis al termine della riunione dell’Ecofin ha masticato amaro, senza avere però la forza di commentare le dichiarazioni di Draghi che sembrano una innocua descrizione della realtà, più che un’invettiva, com’è nel suo stile.
Ma sicuramente non per questo motivo risultano meno “pesanti” ai nostalgici del nord Europa, cultori delle regole del Patto di stabilità e crescita, accantonate l’anno scorso per consentire gli investimenti anti-crisi, e preoccupati per la crescita del debito dei Paesi come l’Italia che su questo punto erano indietro già da prima. “Il punto è riuscire a produrre la crescita – ha aggiunto Draghi -, quello è il criterio per uscire dall’alto debito, il rapporto debito/pil giudicato con gli occhi di ieri sarebbe molto preoccupante ma gli occhi di oggi sono molto diversi”. E poi, aggiunge, “gli altri paesi sono in condizioni non dissimili da noi”. Il premier prevede che al termine della discussione europea, “ci sarà una soluzione di buon senso: decrescita del rapporto debito/pil senza compromettere l’economia dei Paesi”.
A livello europeo per il momento di deciso c’è solo che il Patto di stabilità e crescita anche l’anno prossimo resterà sospeso . Anche se alla fine del corrente anno comincerà la discussione su cosa fare dopo. Il ministro dell’Economia Daniele Franco mentre il premier Draghi parlava in conferenza stampa era impegnato in videoconferenza per l’Ecofin, con i colleghi finanziari degli altri paesi Ue. Una sessione lunga, in cui si fa il punto dei piani di ripresa e resilienza nazionali che dovranno essere presentati a Bruxelles entro il 30 aprile.
Dalle dichiarazioni del vicepresidente della Commissione Europea Dombrovskis al termine dell’Ecofin e del Commissario all’Economia Paolo Gentiloni al termine dell’Eurogruppo stamattina, è chiaro che l’Italia non è nel gruppo dei paesi che già sono pronti a presentare i piani. Spagna, Portogallo, Grecia e Francia probabilmente già la prossima settimana li sottoporranno al giudizio di Palazzo Berlaymont – che a sua volta avrà due mesi di tempo per esaminarli. Non l’Italia, che, anche per via del “cambio di governo”, fa notare Gentiloni, sta ancora lavorando sul proprio piano, il più cospicuo dell’Ue con la fetta più grossa degli aiuti, oltre 200 miliardi di euro.
Dunque, potrebbero volerci altre settimane oltre la scadenza del 30 aprile. Il Commissario all’Economia ne prevede anche due o tre in più, in sostanza fino a metà maggio, per dare il tempo ai paesi che non sono pronti di terminare il pacchetto. Da via XX Settembre assicurano che la scadenza sarà rispettata. “Ma l’importante è ricevere piani di buona qualità, più che rispettare la scadenza”, concede Dombrovskis. Tanto più che per l’operatività del Next generation Eu bisognerà aspettare le ratifiche di tutti i 27 Stati membri.
All’appello mancano In dieci stati tra cui Germania e Polonia. La presidenza di turno portoghese che scade a fine giugno confida di poter ottenere il disco verde da tutti i paesi entro la fine del mandato, in modo che la Commissione possa andare sul mercato a emettere bond per raccogliere le risorse. Certo, però, chi arriva prima con il piano, ha più chance di prendere i primi soldi, l’anticipo del 13 per cento che Bruxelles vorrebbe erogare a tutti gli Stati membri per l’estate, ma che, dati i ritardi, non sarà disponibile subito per tutti (per l’Italia, 21 miliardi).
Tra i partner europei non c’è alcuna preoccupazione sui ritardi eventuali dell’Italia nella presentazione del piano di ripresa. Sia perché la scadenza del 30 aprile è ritenuta ‘flessibile’. E sia perché il governo guidato dall’ex presidente della Bce resta una garanzia a Bruxelles. Il punto è che Draghi ha già cominciato a piantare paletti per la discussione futura sulla politica monetaria. E questa è tutta un’altra storia che, pur infastidendo il nord, potrebbe tuttavia avere uno svolgimento ben diverso dal passato che ha visto contrapposta la Germania alla Grecia nella crisi del debito o che ha visto Bruxelles minacciare procedure per debito eccessivo contro l’Italia all’epoca del Conte I, con discussioni accese anche con i governi precedenti (Renzi, per non parlare di Berlusconi sostituito da Monti nel 2011).
Quando gli chiedono di commentare le parole di Draghi, Dombrovskis è imbarazzato. Non è d’accordo, si sa, alla luce della sua storia di “falco dell’austerity” diventando punto di riferimento dei “frugali”. Ma la crisi della pandemia gli ha spuntato le armi. E poi influisce anche il fatto che l’interlocutore è Draghi, cioè colui il quale quando era alla guida della Bce è riuscito a piegare i tedeschi sul ‘quantitative easing’, dimostrando di avere ragione sulla storia.
La Commissione Europea, ricorda Dombrovskis, “ha lanciato la revisione delle regole Ue sui bilanci pubblici già prima della pandemia. Abbiamo sospeso questo lavoro, ma abbiamo indicato che ci torneremo quando la crisi sarà finita. È importante costruire consenso sulla direzione delle regole sui conti. Ci sono dei parametri – continua – prima di tutto la semplificazione di regole che sono diventate molto complesse e che si basano su indicatori non osservabili, come l’output gap; il carattere anticiclico e il sostegno alla ripresa economica. Chiaramente potremo presentare proposte più dettagliate quando la consultazione sulla revisione delle regole riprenderà e verrà conclusa”.
Per ora, la posizione di Draghi, sostenuta da Gentiloni in Commissione Europea, non è destinata a sollevare polemiche. Di regole sui conti pubblici si comincerà a discutere in autunno, emergenza pandemica permettendo. Ma già fa alzare più di qualche sopracciglio in Ue. Un po’ come è successo con la frase ‘Erdogan dittatore’, accolta con un generale e imbarazzato ‘no comment’ nelle cancellerie europee. Il capo del governo in sostanza segna il territorio per la battaglia che verrà sul Patto di stabilità e crescita. Nordici avvertiti, anche se il Covid gli ha rubato terreno.