ROMA – Il contenzioso tra un dipendente dell’azienda del padre di Luigi Di Maio, Antonio, e l’azienda stessa, era ancora presente nello stesso momento in cui il vicepresidente del Consiglio era diventato socio della stessa società. A renderlo noto questa volta è il Corriere della Sera, che ha messo in luce come un dipendente della Ardima Costruzioni di Antonio Di Maio e Paolina Esposito, genitori del leader politico del M5s, abbia fatto causa all’azienda per farsi riconoscere le ore lavorate in nero.
In primo grado il lavoratore ha perso la causa, ma ha fatto ricorso in Appello. Il papà Di Maio a quel punto avrebbe proposto una mediazione per chiudere il contenzioso, ricevendo però il rifiuto da parte del dipendente che ha deciso di andare a giudizio in Appello. Ma per arrivare ad una sentenza si dovrà comunque attendere il 2020.
Il contenzioso era ancora in corso nel 2014, quando la società è stata donata alla Ardima srl, i cui comproprietari sono Luigi Di Maio e la sorella Rosalba (entrambi soci al 50%) , mentre il fratello Giuseppe ne è l’amministratore senza peò stranamente ricevere alcun compendo. Di Maio ospite ieri sera nel programma “Di Martedì” condotto da Giovanni Floris su La 7, ha spiegato che l’azienda è pronta a chiudere non avendo ormai più dipendenti. Il vicepresidente del Consiglio ha ribadito di non saper nulla dei lavoratori in nero nell’azienda gestita dal padre, ma solo oggi si è scoperto che in realtà era già diventato socio quando il contenzioso era ancora in corso. Resta quindi da verificare ed accertare se Luigi Di Maio sapesse o meno. A verificare la regolarità dei contratti lavorativi dei 4 lavoratori in nero scovati da “Le Iene“ sarà l’ Ispettorato del Lavoro, che dipende proprio dal ministero guidato da Di Maio. Il quale a questo punto dovrebbe avere il buon gusto di dimettersi e lasciare il Ministero del Lavoro.
Il processo per denuncia del dipendente
Il rapporto di lavoro di Domenico Sposito il dipendente che ha lavorato per la società della famiglia Di Maio è iniziato nel 2008 concludendosi nel 2011. La vicenda processuale dinnanzi al Giudice del lavoro ha avuto inizio, nel 2013 ed ha avuto un primo riscontro giudiziario nel 2016, cioè nello stesso momento in cui Luigi Di Maio era intestario del 50% delle quote della Ardima srl mentre era anche il vicepresidente della Camera. Sposito ha chiesto di aver lavorato quotidianamente quattro ore con contratto regolare e quattro ore in nero, motivo per cui aveva chiesto la sua regolarizzazione contrattuale ed economica.
Nel corso del processo il padre di Di Maio, interrogato dal giudice avrebbe detto, secondo quanto riporta il Corriere della Sera: “Preferiva ricevere un acconto a prodotto delle giornate effettivamente lavorate per 75 euro al giorno entro la prima decade, poi quando il consulente del lavoro ci portava la busta paga aveva il saldo. A lui veniva pagato tutto l’importo della busta paga più una somma in contanti pari alle giornate lavorate per 37 euro al giorno e ciò accadeva per esigenze personali e lavorative”.
Affermazioni queste smentite da alcuni testimoni che non hanno confermato questa versione. Ma ciò nonostante questo, Domenico Sposito ha perso la causa in primo grado, e piuttosto che accettare la transazione offertagli da Antonio Di Maio ha preferito ricorrere in in Appello in secondo grado.