Da domani in pensione Piercamillo Davigo non farà più parte del Consiglio Superiore della Magistratura come ha deciso il plenum con 13 voti a favore della decadenza, 6 contrari e 5 astensioni molte delle quali in realtà inizialmente erano voti contrari che all’ultimo hanno cambiato il proprio voto “per ragioni istituzionali“.
La maggioranza del Csm ha quindi stabilito che la permanenza di un consigliere togato senza più la toga sarebbe un ulteriore vulnus del “parlamento” di autogoverno della magistratura, già profondamente ammaccato dal “caso Palamara” che ha portato alle dimissioni di ben 6 componenti su 16.
La decisione adottata dal comitato di presidenza del Csm , di cui fanno parte il vice-presidente David Ermini, dal primo presidente della Corte di Cassazione Pietro Curzio e dal procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, di prendere posizione nel confronto che ha quasi “spaccato” in due la stessa istituzione della magistratura votando in favore dell’esclusione di Davigo, va ritenuta aderente alla linea dell’orientamento espresso dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che è anche il presidente del Csm che ha valutato che il Consiglio Superiore della Magistratura non potesse rischiare di mettere a rischio la propria stessa funzione nei prossimi due anni a causa della presenza e partecipazione ai lavori ed al voto di un magistrato non più legittimato nell’incarico di membro del Csm, per mancanza del presupposto di appartenenza all’ordine giudiziario.
Contro Davigo hanno votato Ermini, i due vertici della Cassazione, Nino Di Matteo, i due consiglieri togati di Unicost Michele Ciambellini e Concetta Grillo, i tre togati di Magistratura indipendente Loredana Micciché, Paola Maria Braggion ed Antonio D’Amato, i 2 “laici” di Forza Italia Michele Cerabona ed Alessio Lanzi, il “laico” della Lega Emanuele Basile, ed il laico di M5s Filippo Donati. Contro hanno votato i tre della corrente di Davigo, Autonomia e indipendenza, composta da Sebastiano Ardita, Giuseppe Marra ed Ilaria Pepe, i due “togati” di Area Alessandra Dal Moro ed Elisabetta Chinaglia ed il “laico” di M5S Fulvio Gigliotti.
Astenuti tre magistrati della corrente di “Area” rappresentata da Giuseppe Cascini, Mario Suriano e Ciccio Zaccaro), il “laico” della Lega Stefano Cavanna ed il laico di M5S Alberto Maria Benedetti.
Ermini ha detto: “Questa è una decisione dolorosa, amara, ma inevitabile“. in quanto “la Costituzione ci costringe a rinunciare a Davigo” poichè essa “prevede come requisito soggettivo il possesso dello status di magistrato ordinario, posseduto al momento dell’elezione e mantenuto in seguito per l’equilibrio necessario tra togati e laici. Se i togati perdono questa qualità si altera il rapporto tra togati e laici di due terzi e un terzo, violando l’equilibrio tra i poteri, al punto da ipotizzare un Csm senza magistrati e quindi una magistratura eterogovernata. Gli eletti durano in carica 4 anni anni, ma mantenendo il loro status“.
Sulla stessa scia il no “secco” di Nino Di Matteo, l’ex pm di Palermo, che da componente della Procura Nazionale Antimafia si era candidato al Csm, sostenuto da Autonomia e indipendenza di Davigo, ma ciò nonostante si è sempre ritenuto e comportato da indipendente. Secondo Di Matteo “la qualità dell’appartenenza all’ordine giudiziario è una condizione imprescindibile per stare nell’autogoverno che è composto da due terzi di magistrati e un terzo di laici. Un tertium genus non è ammissibile. Sarebbe un atto che viola la ratio e lo spirito delle norme costituzionali” annunciando di votare in piena coscienza a favore della decadenza di Davigo.
Nonostante i riconoscimenti unanimi verso la figura dell’ ormai ex-magistrato, non è prevalsa l’interpretazione letterale caldeggiata dall’interessato di alcune norme, di restare in servizio nell’organismo di autogoverno. L’articolo 104 della Costituzione recita che “i membri elettivi del Consiglio durano in carica quattro anni” come sostenevano Davigo e i suoi sostenitori, mentre non è espressamente prevista la pensione tra le cause di decadenza dei componenti togati.
Sicuramente la decisione di mandare via dal Csm un rappresentante eletto, basandosi su un’interpretazione della norma, quando la norma in realtà non lo prescrive espressamente, costituisce un pericoloso precedentein quanto quella causa di decadenza era prevista prima del 1990 e successivamente venne cancellata.
Davigo non era presente a Palazzo dei Marescialli in quanto proprio oggi si trovata a Perugia, interrogato come “teste” dal procuratore Raffaele Cantone su richiesta dell’imputato Luca Palamara. Appresa la notizia Piercamillo Davigo non ha fatto commenti. Anche si suoi compagni di corrente suoi sono pressochè certi che impugnerà la decisione.
Ha prevalso la teoria contraria, e cioè che la Costituzione si basava sulla durata del mandato all’interno della stessa consiliatura, altrimenti i subentrati avrebbero dovuto restare in carica anche nella successiva, circostanza che non è mai avvenuta né tantomeno è mai stato oggetto di discussione.
Il motivo per cui la legge non contempla tra i motivi della decadenza anche la pensione è in quanto si tratta di una naturale conseguenza, come chiarì il Consiglio di Stato in una propria decisione del 2011, richiamata da un parere richiesto dallo stesso Csm all’Avvocatura generale dello Stato : “E’ addirittura scontato che la perdita dello status di magistrato in servizio, comportando il venir meno del presupposto stesso della partecipazione all’autogoverno, è ostativa alla prosecuzione dell’esercizio delle relative funzioni in seno all’organo consiliare”.
La decisione adottata è stata anche la necessità di salvaguardare l’immagine e il ruolo dell’istituzione, al di là della controversia giuridica, per essere al riparo da ulteriori diatribe e accuse di autoreferenzialità e corporativismo. Queste le ragioni che hanno comportato la presa di posizione del vertice del Csm, che si è rivelata fondamentale e decisiva per l’esito conclusivo della votazione. Una decisione che, almeno per il momento, ha risolto la posizione di Davigo, e con essa i problemi derivanti dalle divisioni tra correnti ed i componenti dello stesso Consiglio. Nel 2018 l’ex pm di Milano fu il primo degli eletti prese 2.522 preferenze, raddoppiando i 1.100 voti presi nel 2016, quando era stato eletto presidente dell’Associazione nazionale magistrati.
Sarà Carmelo Celentano, sostituto procuratore generale presso la Corte di Cassazione, a prendere il posto lasciato dal consigliere togato del Csm, Piercamillo Davigo. Lo ha deciso il Plenum del Csm che ha approvato una proposta della Commissione verifica titoli. Celentano, primo dei non eletti, subentra quale magistrato che esercita funzioni effettive di legittimità.