di Valentina Taranto
Il malcostume dei buoni pasto utilizzati al supermercato per fare la spesa in modo cumulativo e contestuale è finita. Con l’incentivo fiscale ai ticket elettronici, entrato in vigore all’inizio di luglio, sarà più facile controllare la spesa e quindi tracciarla. In questo maniera, il dipendente non potrà più accumulare,i buoni durante la settimana per poi utilizzarli tutti in una volta per pagare un conto, e verrà costretto a doverne usarne non più di uno al giorno, ed inoltre solo nei giorni lavorativi (o festivi per chi è di turno).
L’incentivo ai buoni elettronici
La legge di Stabilità per il 2015 ha modificato il Testo unico sulle imposte sui redditi del 1986 e introdotto – a partire dal 1° luglio – un nuovo livello di esenzione dalla tassazione: per il buono pasto elettronico è stato portato a 7 euro, dagli attuali 5,29 euro, cifra rimasta in vigore per i buoni cartacei. L’esenzione dalla tassazione si giustifica con il fatto che – come determina lo stesso Testo unico – “Non concorrono a formare il reddito […] le somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro, nonché quelle in mense organizzate direttamente dal datore di lavoro o gestite da terzi”. Il buono pasto sostituisce quindi la vecchia mensa aziendale alleggerendo i costi a carico del datore di lavoro per mantenerla, e non costituendo un reddito, conseguentemente non va tassato.
Con la novità dell’aumento dell’esenzione, lo scopo del legislatore è allineare il valore alla media europea (era fermo alle vecchie 10mila lire), ma anche di orientare il mercato dei ticket restaurant – che per l’Anseb, Associazione delle società emettitrici, vale 3 miliardi di euro all’anno – verso le carte elettroniche: ad oggi pesano solo per il 15% del totale e sono accettati in nemmeno un quarto degli esercizi convenzionati, ma sono destinate a crescere.
Grazie alla tracciabilità, stop al cumulo
E’ facilmente prevedibile che anche le aziende, vista l’esenzione fiscale e contributiva, si orientino sempre più verso la forma elettronica, magari per far valere di più il peso del buono nella contrattazione interna. E qui scatta il risvolto che sta mandando in allarme molti consumatori, che specialmente in un periodo di crisi hanno utilizzato i buoni come vero e proprio supporto al reddito, per pagare la spesa al supermercato (il 70% dei ticket viene staccato nella grande distribuzione, solo una minima parte in bar e ristoranti). Come avviene per contanti e bancomat, anche in questo caso la digitalizzazione porta con sé la tracciabilità.
Prenderà così corpo quanto in realtà vale da sempre, ed è stampato sui buoni che molti hanno in tasca: “Non sono cedibili, commercializzabili, cumulabili o convertibili in denaro“. Stop dunque al cumulo di più ticket alla cassa del supermercato, dove comunque si potrà ancora fare la spesa alimentare ma al momento del pagamento si potrà usare un solo ticket (massimo 7 euro), saldando l’eventuale maggior costo degli acquisti in contanti. Resta poi da affrontare la compiacenza della catena di distribuzione nell’accettarne uno per volta o più insieme. L’onere del controllo dovrebbe restare in capo al datore di lavoro, informato dall’azienda di emissione dei ticket dei movimenti registrati; qualora si rilevassero utilizzi impropri, potrebbe considerarsi reddito l’importo pagato in ticket, con la conseguenza di applicarvi le necessarie trattenute fiscali e via dicendo.
Le polemiche sui costi
Sempre l’Anseb stima che oltre il 40% dei lavoratori che pranzano fuori casa usufruiscono del buono pasto per pagare: le statistiche parlano di 2,5 milioni di lavoratori circa, suddivisi tra settore privato (1,6 milioni) e pubblico (900.000). Gli esercizi che li accettano sono circa 120mila e non hanno mancato di sottolineare recentemente i costi “insostenibili” dei ticket, sebbene la loro versione elettronica permetta di ridurre (da 120 a 40) i giorni necessari all’incasso.