ROMA – Ci ha lasciato all’età di 84 anni Giampaolo Pansa protagonista di oltre mezzo secolo di giornalismo. Risulta quasi impossibile immaginare per chi come noi si è abbeverato e formato leggendo i suoi articoli, i suoi resoconti dei congressi politici della 1a Repubblica, di non leggere più la sua “penna” arguta.
Immaginare oggi di sfogliare la carta stampata senza trovate la sua firma è molto triste. Pansa nato il primo ottobre del 1935 a Casale Monferrato, esordendo a 26 anni al quotidiano La Stampa di Torino. Diventato uno dei più letti ed autorevoli cronisti d’Italia , ha lavorato nelle redazioni dei giornali più importanti, lasciando sempre il segno della sua forte personalità generosa e travolgente.
Appena poteva lasciava la scrivania per tornare a fare il cronista: con il binocolo coglieva i dettagli dei congressi della “Balena Bianca“, cioè la Democrazia Cristiana, e dell’”Elefante rosso“, il Partito Comunista Italiano. Al Pci fu vicino, ma non esitò a chiedere le dimissioni del segretario Achille Occhetto quando emerse il coinvolgimento del partito nell’inchiesta Tangentopoli.
Pansa è stato un grande inviato, scrivendo saggi importanti, tra cui “Il malloppo” che anticipava Tangentopoli, libri-intervista come “Questi anni alla Fiat” con Cesare Romiti, da cui gli storici non potranno prescindere, e romanzi di vasta tiratura.
La “firma” di Giampaola Pansa è strettamente collegata ai momenti più importanti della storia italiana, scrivendo prima su Il Giorno e poi su La Stampa per approdare nel 1977 a La Repubblica dove ebbe l’inizio del suo lungo legame professionale ed umano con Eugenio Scalfari e con l’editore Carlo Caracciolo. L’anno successivo, nel 1978 Pansa diventò vicedirettore del quotidiano romano, affiancando e supportando Scalfari nelle decisioni giornalistiche più difficili scaturite dalla stagione del terrorismo.
Pansa è stato inventore di uno stile giornalistico che ha fatto scuola. I suoi libri “Giornalista dimezzato”, “Dalemoni” (sull’intesa tra Berlusconi e D’Alema), “Parolaio rosso” (Bertinotti), “Balena bianca” (la Democrazia Cristiana) sono soltanto alcuni passaggi del suo personalissimo lessico con cui ha svecchiato le cronache giornalistiche sulla politica italiana, osservandola ai congressi di partito con il suo leggendario binocolo . Rivendicava con orgoglio il ruolo di “rompiscatole”, epiteto che diede anche il titolo a un libro autobiografico.
Sono pochi i giornalisti che hanno avuto il passo del “rubrichista” come Pansa : nel 1984 ideò per il settimanale l’Espresso sotto la direzione Giovanni Valentini, la fortunata rubrica “Chi sale e chi scende” che vanta ancora oggi molti cattivi imitatori, e nel 1987 esordì su Panorama, direttore Claudio Rinaldi con “il Bestiario” rubrica successivamente trasferita su l’Espresso. Anche i titoli dei suoi libri lasciano il segno della sua vis polemica, rivolta soprattutto al mondo dei giornali e giornalisti. Chi ama questo mestiere non può non avere letto saggi come “Carta straccia“, “Carte false“, “Comprati e venduti“, “Il malloppo“, “Lo sfascio“..
Pansa ha affiancato per cinquant’anni al lavoro del giornalista, quello dello storico, cominciando dalla tesi di laurea, sotto il magistero di Guido Quazza, dedicata alla “Guerra partigiana tra Genova e il Po”. A incoraggiarlo verso gli studi storici fu merito soprattutto di Alessandro Galante Garrone, che è stato suo professore di Storia moderna e contemporanea negli anni torinesi dell’università. Pansa si sarebbe allontanato da quel mondo di studi convintamente antifascista, tra gli anni Novanta e il nuovo secolo, quando cominciò il suo lungo viaggio attraverso le zone oscure del partigianato.
“Dopo tante pagine scritte sulla Resistenza e sulle atrocità commesse dai Repubblichini – disse Pansa a Repubblica – mi è sembrato giusto vedere l’altra faccia della medaglia. Ossia quel che accadde ai fascisti dopo il crollo della Repubblica sociale”. Il suo primo titolo di successo fu “Il Sangue dei vinti” che suscitò polemiche non lievi: tra il maggio del 1945 e la fine del 1946, nelle vesti di aguzzini e seviziatori, s’incontrano alcuni dei partigiani che avevano liberato il Paese da nazisti e fascisti. Storie di stupri e di torture, di cadaveri irrisi e violati, di fucilazioni di massa e crimini gratuiti. .
Alla passione storiografica Pansa affiancava la felicità di una scrittura narrativa di rara limpidezza: il suo libro divenne subito un bestseller, segnando l’avvio di un “ciclo di vinti” dedicato alle “efferatezze” della Resistenza: una serie di libri destinati a scalare le classifiche dei più venduti. Intorno alle sue opere nacque un accesso dibattito. Anche il quotidiano La Repubblica discusse i presupposti e il metodo del suo lavoro storico-narrativo, in un passaggio politico in cui la destra berlusconiana cercava di demolire la storia antifascista da cui era nata la Repubblica italiana. Pansa reagiva alle critiche alla sua maniera, protestando con veemenza, dedicando pagine di libri successivi alle polemiche , ma senza mai negare l’abbraccio affettuoso del vecchio collega.
Giampaolo Pansa amava scrivere al servizio dei suoi lettori. E’ sempre stato generoso di insegnamenti con i colleghi, anche modesti e sconosciuti . Addio caro Giampaolo: come te, nessuno più.