Vi ricordate le “buffonate” di Beppe Grillo quando nel 2013 all’atto della presentazione delle liste e candidati del M5S alla Camera e Senato sosteneva che sarebbe bastato loro uno stipendio di 2.500 euro al mese ed il resto sarebbe stato restituito allo Stato ? Tutte parole al vento, ormai disperse nel prosieguo della corsa ai soldi pubblici effettuata dai rappresentanti del M5S non contenti di aver sistemato parenti, amici ed amanti a spese del contribuente.
Adesso secondo le nuove linee guida di Conte, i parlamentari dovrebbero continuare ad auto-tassarsi, con una detrazione di 2.500 euro al mese. Solo che mentre sinora 1.000 euro finivano al partito, ed i restanti 1.500 resi indietro alla collettività, mediante le restituzioni, da devolvere ad associazioni no-profit o al microcredito delle imprese. Con Conte le percentuali dovrebbero essere diverse: 2.000 euro andranno al partito, e soltanto 500 euro destinate alle restituzioni. Secondo “Giuseppi” con questa quota, molto ridotta anche a seguito della scomparsa di una pletora di deputati e senatori non rieletti, si potrebbero finanziare, oltre alle onlus e progetti pubblici, anche delle iniziative di formazione politica.
E più di qualcuno mormora che verrebbero destinate alla scuola di formazione istituita prima delle ultime elezioni da Conte e che, come aveva “sussurato” Beppe Grillo, potrebbe omaggiare di gettoni di presenza i grandi ex esclusi per la regola del doppio mandato, che verrebbero ingaggiati come “insegnanti”docenti” a spese del contribuente.
Un’ altra novità nel cambiamento del M5S in un vero e proprio partito: l’indennità di carica, per chi assume vicepresidenze o presidenze di commissione, finora vietata, adesso dovrebbe venire permessa, anche se solo al 25%.
Le ragioni del cambiamento, spiega qualcuno che segue da vicino la vicenda, sarebbero molto chiare: il Movimento 5 Stelle si ritrova in Parlamento col minor numero di deputati e senatori dal suo esordio del 2013 quando, gli eletti grillini erano oltre 160, col “boom” del 2018 raddoppiarono a 330, mentre adesso sono soltanto 80 e quindi una redistribuzione dei fondi sarebbe essenziale per finanziare le attività di partito, pagare gli staff ed esperti assunti dai gruppi (a spese del contribuente) e cercare di strutturare il partito nelle regioni, con i gruppi territoriali appena lanciati da Conte, che dovranno però finanziarsi in proprio. In poche parole, al M5S servono soldi.