di ANTONELLO de GENNARO
Come i nostri lettori ben sanno, prediligo far parlare i numeri che hanno sempre ragione e prevalgono inconfutabilmente sulle opinioni di ogni singolo. All’indomani della campagna elettorale e del voto espresso dai pugliesi la somma dei voti dei partiti che hanno sostenuto Fitto è stata di 694.536, mentre le preferenze raccolte dal candidato governatore del centrodestra sono state 724.928, con una differenza quindi di oltre 30mila voti, espressi alla persona e cioè a Raffaele Fitto.
I numeri dicono che rispetto al 2019 la grande delusione è rappresentata dalla Lega che ha perso circa il 16% dei consensi, scendendo dal 25,3% ( 403.424 voti ) al 9,57% ( 160.507 voti ), mentre Forza Italia è passata dal 11,1% ( 177.304 voti ) al 8,91% ( 149.399) voti ) . La vera causa della mancata vittoria del centrodestra, è quindi figlia di questo risultato deludente, e non certo la scelta di Raffaele Fitto come candidato, preferito al leghista Nuccio Altieri, che nelle sue precedenti avventure elettorali alla Camera (prima nel Pdl, e poi nella Lega) non è mai stato eletto arrivando sempre al secondo posto dei non eletti e trovando alla fine riparo su una poltrona “pubblica” lottizzata, e senza avere peraltro al passato alcuna esperienza manageriale.
Se la Lega e Forza Italia avessero confermato le preferenze ricevute per le Europei di appena 16 mesi fa, Raffaele Fitto avrebbe vinto e sarebbe oggi lui il presidente della Regione Puglia. Ma in politica con i “se” ed i “ma” non si vincono le elezioni. Sulla base dei numeri una cosa è evincibile ed è certa: non può essere Fitto il responsabile della sconfitta elettorale.
Altresì non si può non evidenziare il risultato vincente di Fratelli d’ Italia che è di fatto il primo partito del centrodestra in Puglia (12,63%) , ed il secondo nel panorama politico regionale dopo il Pd (17,25 %) , superando e surclassando il M5S che ha subito un vero crollo, pur stando al governo ed esprimendo il Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte.
Fratelli d’Italia ha aumentato del 50% i suoi consensi passando dal 8,9% ( 141.865 voti ) delle Europee 2019, al 12,63% ( 211.693 voti ) delle Regionali 2020. Se poi andiamo ad aggiungere il dato della cosidetta “lista del presidente” cioè La Puglia Domani, che in realtà altro non era che una lista Fratelli d’Italia bis, il consenso per Giorgia Meloni ed i suoi rappresentanti pugliesi supera il 21%, numeri inimmaginabili fino a poco tempo fa.
Numeri che smontano i teoremi auto-assolutori dei leghisti di Puglia, che in realtà sono quasi tutti degli ex “adepti” di Raffaele Fitto, a partire da Roberto Marti, Nuccio Altieri e l’ultimo arrivato Gianfranco Chiarelli. Non a caso il leader della Lega, Matteo Salvini nella conferenza stampa nella sede della Lega in via Bellerio a Milano , ha commentato “Pensavo e speravo qualcosa di più in Puglia. La partita della Campania era segnata per mille ragioni, speravo in una differenza minore in Puglia“.
I leghisti dopo l’Emilia-Romagna, hanno fallito la sfida anche in Toscana, regioni in cui le candidate a governatore erano espressione della Lega, e la distanza, stimata nel 30%, che separa la lista della Lega in Veneto da quella del presidente uscente riconfermato il quale sarebbe stato rieletto anche da solo con la sua lista personale che ha letteralmente “doppiato” quella Lega, stanno portando ad un imminente rivoluzione al vertice della Lega che si doterà di un nuovo organismo collegiale che affiancherà il segretario nella definizione dell’indirizzo politico del partito.
Dopo 13 mesi dalla richiesta di “pieni poteri” la Lega ha perso tra i 12 e i 14 punti percentuali e per la prima volta dal 2013 il segretario vede nascere una nuova leadership interna: quella di Luca Zaia, che mentre smentisce dualismi , non lascia passare mezz’ora senza rivendicare la sua autonomia e una certa differenza di visione politica rispetto a Salvini.
Due anni fa alle elezioni Politiche il Movimento Cinquestelle aveva letteralmente raso al suolo ogni concorrente conquistando il 44,9% (981.580 voti) vincendo in tutti i collegi uninominali, al punto tale che i deputati eletti degli altri partiti sono tutti dei “miracolati” salvati dal listino bloccato. In quel momento il M5S raccontava di voler aprire il Palazzo come una scatoletta di tonno, chiudere l’ ILVA di Taranto, bloccare le trivellazioni della TAP sull’ Adriatico in Salento.
Già l’anno scoro alle Elezioni Europee il M5S era crollato al 26,3% con 419.344 voti, perdendo quindi oltre il 50% delle preferenze dagli elettori, mentre a queste ultime Regionali ha ulteriormente più che dimezzato i suoi consensi fermandosi all’ 11,12% con appena 207.038 voti di preferenza.
Nelle elezioni politiche 2018 il grande “sconfitto” fu il Pd, che raggiunse il 13,7% dei voti ( con 298.710 preferenze) venendo accusato di essere stato il partito “salva ILVA” a seguito della lunga serie di decreti firmati dai premier Renzi e Gentiloni. Mentre alle ultime regionali i grandi sconfitti in Puglia sono stati proprio il M5S ed Italia Viva di Renzi e Bellanova.
Pur esprimendo il candidato governatore Michele Emiliano (seppur senza tessera, per non farsi cacciare dalla magistratura n.d.a.) riconfermato alla guida della Regione Puglia, grazie ad una marea di “liste-boa” raccoglitrici di preferenze ed una serie di pratiche clientelari, additate dal centrodestra come pratiche di voto di scambio, il Partito Democratico si è fermato al 17,25 % (con 289.188 voti di preferenza) , crescendo di appena mezzo punto rispetto alle Europee 2019 dove conquistò il 16,6% grazie a 265.412 voti di preferenza.
Italia Viva il “partitino” di Matteo Renzi, pur potendo contare sulla presenza e radicamento storico in Puglia di Teresa Bellanova, ministro dell’agricoltura del Governo in carica, e candidando un sottosegretario, cioè Ivan Scalfarotto, ha portato a casa appena l’ 1,6% con 29.808 voti.
La città di Taranto viene identificato da Emiliano ed il sindaco tarantino Melucci come il “laboratorio” di una rinascita della Puglia. Ma dal voto a Taranto emergono due leadership indiscutibili : quelle dei “campioni di preferenze” Donato Pentassuglia (Pd) e di Renato Perrini (Fratelli d’ Italia) , che hanno ottenuto rispettivamente 10.253 e 10.185 voti di preferenza. Un risultato che sia a sinistra che a destra non potrà non essere valutato e rispettato. Anche perchè forse è arrivato anche il momento di un rinnovamento della classe dirigente politica, possibilmente composta da persone che non cercano di fare affari grazie al proprio ruolo politico.
Ma quello che più lascia da riflettere e valutare è che il Pd a Taranto, pur potendo contare sulla guida di Rinaldo Melucci dell’ Amministrazione Comunale (oggetto di molteplici indagini in corso della Magistratura) eletto nel 2017 per una manciata di voti (circa 900 voti) , si è fermato al 13,91% conquistando solo 32.170 voti, mentre Fratelli d’ Italia è arrivato al 13,17% con 30.457 voti.
Un margine di vantaggio esiguo e pressochè impalpabile sopratutto considerando la gestione “clientelare” del potere esercitata da Melucci, che grazie ai svariati milioni di euro trovati in cassa disponibili, accantonati post-dissesto dal sindaco predecessore Ippazio Stefano, ed ai finanziamenti provenienti dal CIS Taranto per volere dei Governi Renzi e Gentiloni, nonchè alle assunzioni ed appalti clientelari, rischia di giorno in giorno di esaurire il suo mandato. Sopratutto adesso che l’ago della bilancia è costituito dal “trombato” illustre alle Regionali, Piero Bitetti, che rispetto al 2015 quando si candidò per il PD , ha perso oltre 2.000 voti.
Adesso la poltrona di Melucci inizia a vacillare, nonostante goda di stampa locale amica, profumatamente prezzolata. Mancano 16 mesi alle prossime amministrative a Taranto…