di REDAZIONE POLITICA
Nei giorni scorsi, un sondaggio di Nando Pagnoncelli ha fatto tirare un sospiro di sollievo a molti: quale che sia il sistema elettorale, il centrodestra vincerebbe comunque le elezioni. È una buona notizia solo in apparenza. In realtà è una notizia tendenziosa: vera oggi, ma non per questo vera a fine legislatura, quando presumibilmente torneremo a votare. Come le ricchezze familiari, infatti, anche i consensi elettorali col tempo si erodono e nulla più dell’inerzia dovuta alla certezza che il benessere odierno sia destinato a durare in eterno può alimentare bruschi rovesci del destino.
Sarebbe saggio, pertanto, tener conto di tre nuove tendenze emerse dall’analisi delle ultime votazioni. La prima: come ha sottolineato uno studio dell’Istituto Cattaneo, nelle regioni in cui si è votato “l’area di governo prevale rispetto al centrodestra in un rapporto di 57 a 43”. La seconda: rispetto alle europee dello scorso anno, alle regionali i due partiti più inclini alla demagogia, M5s e Lega, hanno perso complessivamente 3 milioni e 200mila voti. La terza tendenza riguarda il referendum costituzionale sulla rappresentanza parlamentare.
È vero che i Sì hanno vinto, ma il fatto che sette milioni e mezzo di elettori abbiano votato No contro le indicazioni dei rispettivi partiti e delle televisioni, e che l’abbiano presumibilmente fatto per difendere la serietà della Politica dall’irresponsabilità della demagogia, è un elemento nuovo. Nuovo e notevole. Ancor più notevole il fatto che questo atteggiamento sia stato prevalente negli studenti (51,6%) e abbia sfiorato il 40% tra i minori di 34 anni.
I primi due elementi autorizzano a pensare che l’emergenza sanitaria e quella economica stiano inducendo quote crescenti di elettorato a dubitare delle facili promesse. Il terzo alimenta la piacevole impressione di un crescente rigetto della demagogia nella società e di una semi immunità all’antipolitica da parte di generazioni non (ancora?) forgiate dalla retorica anti Casta che si perpetua nel nostro Paese da ormai un quarto di secolo.
Sarebbe saggio che gli aspiranti leader del centrodestra tenessero conto di queste tendenze, non si adagiassero sugli allori e ridefinissero stile e merito della propria offerta politica. Detta altrimenti: Salvini dia retta a Giorgetti.