di Fabrizio Rondolino
Marco Travaglio indica oggi 10 punti che dovrebbero spingere Maria Elena Boschi alle dimissioni. Si tratta invero di 10 sciocchezze.
- Il decreto annunciato il 20 gennaio che trasforma in società per azioni le nove banche popolari più grandi (cioè con un patrimonio superiore a 8 miliardi) non c’entra nulla con il successivo decreto “salva-banche”: si tratta di una misura in discussione da tempo e in linea con l’Europa, presa, come spiegò il ministro Padoan, per “rafforzare il sistema bancario” a tutto vantaggio degli investitori e dei consumatori. Più trasparenza e più mercato fanno bene a tutti. Che il ministro Boschi fosse o meno presente alla riunione del Consiglio dei ministri (lei dice di no, Travaglio insinua di sì) non ha alcuna importanza: suo padre e suo fratello erano all’epoca impiegati, non proprietari, di una delle nove banche coinvolte. E il conflitto d’interessi, com’è noto, riguarda i proprietari e non i dipendenti.
- Non è vero che “i titoli delle banche coinvolte erano lievitati per massicci acquisti alla vigilia” del decreto perché “qualcuno aveva violato il segreto”, e in particolare che “il record del rialzo lo registrò proprio Etruria, con un +65%”. Fino al 19 gennaio il titolo si mantiene stabile intorno a 0,35-0,40, per salire poi a 0,60 soltanto dopo l’annuncio del decreto. Nella settimana precedente acquisti di un certo peso hanno riguardato soltanto il Banco Popolare e la Bpm: se insider trading c’è stato, non riguarda Banca Etruria. Va comunque ricordato che già all’inizio di gennaio alcuni giornali, fra cui Repubblica, avevano annunciato l’intenzione del governo di intervenire sulle popolari: la notizia era dunque di dominio pubblico.
- Il decreto “salva-banche” del 22 novembre non costa un euro allo Stato e salva risparmiatori e imprenditori: in caso di fallimento delle quattro banche, 1 milione di italiani avrebbero perso 12 miliardi di risparmi, 200.000 piccole e medie imprese avrebbero dovuto restituire all’istante 25 miliardi di mutui, crediti e leasing, 7000 lavoratori avrebbero perso il posto. Il commissariamento di Banca Etruria avvenuto l’11 gennaio, che Travaglio liquida come “un atto dovuto”, è invece la prova evidente dell’imparzialità del governo.
- L’articolo 35, comma 3 del decreto del 16 novembre “secondo alcune interpretazioni – scrive Travaglio – rende più difficile per azionisti e singoli creditori l’azione di responsabilità per chiedere risarcimenti ai manager e ai Cda delle banche”. Ma si tratta dell’interpretazione di Travaglio: il testo, che si limita ad attuare la direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014, prescrive chiaramente che l’esercizio dell’azione di responsabilità “spetta ai commissari speciali sentito il comitato di sorveglianza, previa autorizzazione della Banca d’Italia”. Dov’è la difficoltà?
- Travaglio riporta l’art. 3 della legge Frattini sul conflitto d’interessi ma si dimentica di leggerlo: “Sussiste situazione di conflitto d’interessi […] quando il titolare di cariche di governo partecipa all’adozione di un atto […] che ha un’incidenza specifica e preferenziale sul patrimonio del titolare, del coniuge o dei parenti entro il secondo grado, ovvero delle imprese o società da essi controllate […] con danno per l’interesse pubblico”. La famiglia Boschi non “controllava” Banca Etruria, il decreto l’ha danneggiata (perché le azioni possedute, a dire il vero pochissime, si sono trasformate in carta straccia) e non ha recato “danno” bensì beneficio all’interesse pubblico (v. punto 3).
- Travaglio insiste sul “conflitto d’interessi visibile a occhio nudo” ma trascura di spiegare perché. L’unico argomento è che la Boschi “non è un ministro qualsiasi: è la figura più in vista del governo dopo Renzi”. Ma poiché il conflitto d’interessi non sussiste (v. punto 5), l’argomento di Travaglio è esclusivamente personale: siccome la Boschi è “la figura più in vista del governo” va colpita severamente anche se non ha alcuna responsabilità civile, penale o politica.
- Roberto Rossi, il pm di Arezzo che indaga su Banca Etruria, è stato nominato consulente giuridico del governo da Carlo Deodato (e non da Antonella Manzione) quando a palazzo Chigi c’era Letta (e non Renzi), non prende un euro di compenso e il suo contratto scade il prossimo 31 dicembre. Non ha mai visto né conosciuto il presidente del Consiglio e il ministro Boschi.
- Secondo Travaglio “può darsi che il pm di Arezzo iscriva anche papà Boschi sul registro degli indagati”, e “se ciò accadesse” il ministro delle Riforme “diventerebbe un bersaglio ancora più facile per polemiche, sospetti e contestazioni”. Ma l’istituto delle dimissioni preventive in previsione di un eventuale e al momento inesistente inchiesta sul padre da parte di un magistrato che fra due settimane non avrà più alcun incarico di consulenza con la presidenza del Consiglio è una baggianata che si commenta da sola.
- “I paragoni con le dimissioni chieste o date da altri ministri – scrive Travaglio – non reggono”. Esatto. E allora perché la Boschi dovrebbe dimettersi? Per “opportunità politica”, scrive il direttore del Fatto: cioè per dargli ragione e ammettere pubblicamente di aver commesso qualche errore o omissione. Ma non si lascia il governo per dar ragione a Travaglio quando Travaglio ha torto marcio.
- Travaglio cita un intervento di Maria Elena Boschi sul caso Cancellieri – che, come lui stesso ha scritto nel punto 9, non c’entra nulla – in cui il ministro sostiene che “il punto grave è che si è data l’immagine di un paese in cui la legge non è uguale per tutti”. Esattamente il contrario di quanto accaduto oggi: il padre della Boschi ha prima dovuto pagare una multa di 140.000 euro e poi ha perso il posto, mentre le azioni della Banca Etruria detenute dalla famiglia Boschi sono state azzerate.