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22 Luglio 2024 13:52
22 Luglio 2024 13:52

Ecco quando è omissione di atti d’ufficio se un medico di guardia rifiuta la visita domiciliare

Nel caso esaminato dai togati della Suprema Corte, un medico di guardia non si era recato a casa della paziente, né aveva effettuato un consulto telefonico. Si trattava di una anziana paziente , come è stata accertato nel processo, le cui condizioni di salute rendevano necessaria la visita domiciliare, e sulla colpevolezza del sanitario
di Valentina Rito

Con la propria recente sentenza n. 44057/2022, la Corte di Cassazione, ha stabilito che il medico di guardia che non si rechi ad effettuare la visita al domicilio del paziente, commette il reato di omissione di atti d’ufficio, previsto e punito dall’art. 328 del codice penale. La Suprema Corte, nel confermare che la visita domiciliare resta opzionale e non è, quindi, un obbligo per il medico di guardia, stabilisce che il sanitario di continuità assistenziale, invece, ha il dovere di valutare, caso per caso, l’opportunità di recarsi presso il domicilio del paziente per una visita o, comunque, prestare un consulto telefonico.

Nel caso esaminato dai togati della Suprema Corte, un medico di guardia non si era recato a casa della paziente, né aveva effettuato un consulto telefonico. Si trattava di una anziana paziente , come è stata accertato nel processo, le cui condizioni di salute rendevano necessaria la visita domiciliare, e sulla colpevolezza del sanitario, a nulla ha rilevato il fatto che un altro medico, successivamente recatosi al capezzale dell’inferma, l’avesse classificata quale “codice bianco”, quindi non in pericolo di vita, né in condizioni da lasciar prevedere una rapida evoluzione peggiorativa del suo quadro clinico.

L’omissione d’atti d’ufficio

La condotta del medico di guardia è stata giudicata penalmente rilevante in quanto integrante il reato di omissione d’atti di’ufficio in quanto connotata dalla manifesta indisponibilità anche a fornire un consulto telefonico . Sul punto la Corte di Cassazione ha richiamato l’art. 13, comma 3, dell’accordo collettivo nazionale per la regolamentazione dei rapporti con i medici addetti al servizio di guardia medica ed emergenza territoriale, reso esecutivo ai sensi dell’art. 48 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, il quale postula un apparente automatismo, stabilendo che il medico di continuità assistenziale è tenuto ad effettuare, al più presto, tutti gli interventi che siano chiesti direttamente dall’utente entro la fine del turno al quale è preposto e non può prescindere dalla conoscenza del quadro clinico del paziente, acquisita attraverso la richiesta di indicazioni precise in ordine all’entità della patologia dichiarata.

L’unica opzione possibile

Nell’inquadramento normativo della questione, altre fonti normative, precisano, come d’altronde appare logico, che il medico deve valutare, sotto la propria responsabilità, l’opportunità: 1) di fornire un consiglio telefonico, 2) recarsi al domicilio per una visita, 3) invitare l’assistito in ambulatorio. Nel caso di specie dunque – continua la Corte nella propria decisione – tre erano le opzioni che l’imputato poteva scegliere: considerato che la terza possibilità era fuori discussione a causa dell’età e delle condizioni della paziente – la signora per la quale era stato richiesto l’intervento era molto anziana, aveva riportato una frattura alle costole e non era, dunque, nelle condizioni di recarsi ad una visita ambulatoriale – e non si poteva ritenere valida l’alternativa di chiedere l’intervento di un’ambulanza, né, se la situazione fosse rimasta stazionaria, quella di rivolgersi, il giorno dopo, al medico di base, l’imputato avrebbe dovuto recarsi al domicilio dell’ammalata. 

L’unica opzione era, quindi, la visita domiciliare, in relazione alla cui mancata esecuzione l’imputato, durante il processo, non ha addotto – tantomeno documentato – alcun impedimento. La difesa del medico ha eccepito la mancanza del requisito dell’urgenza, insito nella necessità che l’atto vada compiuto senza ritardo, e l’assenza del dolo.

Il potere di sindacare la valutazione del medico

A fronte di tali argomentazioni, la Cassazione ha ricordato che, sebbene la giurisprudenza di legittimità riconosca pacificamente la connotazione discrezionale della valutazione del medico, tuttavia, riserva al giudice il potere di sindacarla quando emergano elementi che evidenzino l’evidente erroneità di quest’ultima, potere che, nel caso in esame, è stato esercitato dai giudici laddove hanno accertato che il quadro clinico descritto dall’utente avrebbe imposto di recarsi immediatamente al domicilio della malata, affetta da difficoltà respiratorie in un contesto di età avanzata e frattura alle costole. 

L’omissione di atti d’ufficio è un reato di pericolo e, sulla base della ricostruzione del fatto operata dai giudici, tale pericolo (nel caso di specie, per la salute dell’assistito) sussisteva al momento della realizzazione della condotta omissiva, a nulla rilevando la sua successiva neutralizzazione ad opera di un terzo (nel caso di specie, il secondo medico contattato).

L’elemento soggettivo del dolo

Né può ritenersi fondato l’ulteriore elemento sostenuto dalla difesa relativo al difetto del necessario elemento soggettivo del dolo, in quanto l’imputato non si sarebbe rappresentato la necessità di compiere l’atto dovuto senza ritardo, non avendo ritenuto critica ed urgente la condizione clinica della donna. In base alla ricostruzione operata dai giudici, l’indifferibilità dell’atto dell’ufficio era ragionevolmente ipotizzabile già al momento della telefonata, alla luce delle circostanze del fatto (quali le condizioni e l’età della donna, nonché la tipologia di sintomi riferita dal figlio), con la conseguenza che il soggetto agente non poteva non essersela rappresentata. Né può incidere sull’elemento soggettivo, elidendolo, la circostanza che, sempre sulla base della ricostruzione fattuale dei giudici, il pericolo fosse venuto meno, per effetto del successivo intervento, in chiave terapeutica, di un secondo medico di continuità assistenziale.

La sentenza di condanna

La Cassazione, quindi, nel confermare della condanna del medico per omissione di atti d’ufficio (art. 328 c.p.) ha ribadito i seguenti principi di diritto: – la violazione dell’interesse tutelato dall’art. 328 c.p. ricorre ogni qual volta venga denegato un atto non ritardabile alla luce delle esigenze prese in considerazione e protette dall’ordinamento, prescindendosi dal concreto esito della omissione, atteso che l’omissione di atti di ufficio ha natura di reato di pericolo (Cassazione, Sez. VI, sentenza n. 21631, 4 maggio 2017); – ai fini della configurabilità dell’elemento soggettivo del delitto di omissioni di atti d’ufficio (dolo) è necessario che il pubblico ufficiale abbia consapevolezza del proprio contegno omissivo, dovendo egli rappresentarsi e volere la realizzazione di un evento “contra ius”, senza che il diniego di adempimento trovi alcuna plausibile giustificazione (Cassazione, Sez. VI, sentenza n. 36674, 10 settembre 2015); – l’esercizio del potere-dovere del medico di valutare la necessità della visita domiciliare è pienamente sindacabile dal giudice sulla base degli elementi di prova acquisiti nel processo (Cassazione, Sez. VI, sentenza n. 43123, 20 settembre 2017; Cassazione, Sez. VI, sentenza n. 23817, 30 ottobre 2012).

di Antonio Serpetti di Querciara, avvocato a Milano ed autore Giuffrè –Francis – Lefebvre
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