di Marco Follini
Nel volgere di una manciata di giorni il clima politico è d’un tratto cambiato e quasi -quasi- capovolto. Sembrava che la maggioranza avesse il vento in poppa, e oggi appare in difficoltà. Si ragionava sulle infinite criticità del centrosinistra e oggi i riflettori segnalano invece una gran quantità di problemi dalla parte opposta. Si scommetteva su una legislatura tranquilla e ora si annuncia una discreta turbolenza dalle parti di Palazzo Chigi. Tendenze che si possono rovesciare un’altra volta, s’intende. Ma che richiedono almeno una messa a punto, se non una correzione più profonda della rotta seguita fin qui.
Giorgia Meloni sta incrociando due grandi difficoltà che la cronaca di questi giorni ha messo in evidenza. Una è la disputa sotterranea con la Lega di Salvini. L’altra è lo scontro in campo aperto con la magistratura. Il leader leghista ha proposto con apparente innocenza un patto tra tutti i partiti del centrodestra per andare insieme alle elezioni europee. Apparentemente, un proposito amichevole. In realtà, un sottile ma cruciale fattore di divisione. E’ evidente infatti che né Fdi né Forza Italia possono condurre quella campagna elettorale sotto la stessa bandiera, alleandosi con la francese Le Pen e con i tedeschi dell’Afd, nemici giurati del Ppe. Se Meloni si imbarcasse in questa compagnia di giro le riuscirebbe impossibile proseguire su quella strada di accreditamento presso l’Europa che conta che ha intrapreso, tra alti e bassi, in questi primi mesi.
E’ ovvio che Salvini fa fatica a immaginare il rinnovo del mandato della Von Der Leyen, dato che proprio su quella scelta maturò cinque anni fa il rovesciamento degli equilibri politici italiani. Nacque allora la famosa maggioranza Ursula, che sancì la marginalizzazione della Lega, relegata in uno spazio minoritario alla destra dell’Europa a guida francotedesca. In quel contesto Meloni si propone di cambiare le cose, è vero. Ma non di capovolgerle. Tantomeno mettendo a rischio quei legami che ha fatto del suo meglio per riannodare fin qui. Dunque, è evidente che l’ordine sparso dei partiti della maggioranza italiana sul fronte europeo è la condizione per proseguire il suo tragitto.
Si tratta di un conflitto quasi inesorabile. Lo si potrà minimizzare, diplomatizzare, circoscrivere. Ma non si potrà uscire da quei binari che assicurano all’Italia e al suo governo un accreditamento prezioso. Cosa che dovrebbe indurre Meloni e Salvini a gestire la loro controversia senza farla deflagrare.
L’altra difficoltà, rivelata da cronache ancor più recenti, sta nel conflitto che s’è aperto con la magistratura. Un conflitto che gli ultimi casi – Santanchè, Dalmastro, per non dire di La Russa – avevano fatto balenare. Ma a cui la dura nota di Palazzo Chigi dei giorni scorsi ha impresso un’accelerazione inattesa. Fino a riproporre argomenti e sospetti che sembrano ridar fiato alla vecchia campagna berlusconiana contro le “toghe rosse” e le loro propaggini politiche.
Su questo fronte Meloni può far conto sulla maggiore omogeneità del suo schieramento. Ma finisce per trovarsi isolata in un contesto più ampio. Laddove ci si aspetta che un governo nato da poco e sorretto da un vasto consenso sia indotto a dispiegare un approccio meno ideologico e meno partigiano.
Si dirà appunto che anche questo è un lascito di Berlusconi. Ma forse proprio l’insuccesso di quella politica di scontro frontale con la magistratura dovrebbe suggerire a Palazzo Chigi un approccio più morbido. Teso a fare riforme incisive e magari anche controverse. Senza aggiungervi però quel di più di (gratuita) polemica politica che finisce per allontanare gli obiettivi che si vorrebbero perseguire.
Sta qui il vero bivio di questa stagione politica. Tra una maggioranza che si chiude in se stessa, rischiando però la conflittualità interna. E una maggioranza che guarda oltre i propri confini, cercando con fatica e pazienza di ampliare lo spettro dei suoi consensi. In un caso e nell’altro è da prevedere un po’ di turbolenza. A conferma del fatto che in politica, e nella vita dei governi, la luna di miele non dura mai troppo a lungo.