di Luciano Quarta*
Nemo propheta in patria. Noi l’avevamo detto (io e il mio compagno di merende, Giorgio Rubini), e da un bel pezzo anche: l’Agente della riscossione, che si chiami Equitalia o che si chiami Agenzia delle Entrate riscossione, deve stare in giudizio direttamente. Non può avvalersi di un procuratore generale o speciale e non può essere rappresentato in giudizio da un difensore esterno.
I vari luminari con i quali ci siamo confrontati sul tema hanno storto il naso. Hanno trattato con sufficienza le nostre tesi giuridiche. Quando abbiamo ottenuto se non la prima, una delle primissime sentenze che confermavano la nostra interpretazione (CTP Varese (la n. 310/2017), a giugno del 2017 Italia Oggi, commentando il precedente, aveva parlato di una sentenza “potenzialmente devastante per numerosissimi processi e, in particolare, per quelli di secondo grado in cui appellante è proprio l’Agente della riscossione”.
Molti però l’hanno presa come una delle tante sentenze balzane ed eccentriche di una corte di merito, periferica ed isolata. Altre pronunzie sono seguite, nello stesso senso e nel senso opposto.
Ma oggi la Corte di Cassazione, con una sentenza dettagliatamente motivata, la n. 28684/2018 sviluppata su una attenta e puntigliosa analisi di tutto il quadro normativo, con passaggi logico giuridici consequenziali e rigorosi ha spazzato via ogni dubbio: l’Agente della riscossione, salvo casi eccezionali deve stare in giudizio direttamente o con il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato nei giudizi di merito, con il solo patrocinio dell’Avvocatura nei giudizi di legittimità.
Allora, vediamo: cosa dice esattamente la Suprema Corte?
Afferma in sequenza questi principi:
a) l’Ente della riscossione non può avvalersi di avvocati del libero foro, se non in casi eccezionali. Nella normalità dei casi la difesa va affidata a dipendenti interni all’Agenzia o all’Avvocatura dello Stato, se si tratta di contenziosi di merito, alla sola Avvocatura dello Stato in caso di giudizi di legittimità;
b) la sussistenza di uno di questi casi eccezionali e la scelta del ricorso alla difesa esterna deve essere congruamente motivata, documentata e occorre che sia appositamente autorizzata;
c) per giustificare il ricorso ad avvocati esterni non basta il regolamento di amministrazione dell’Agenzia, perché esso fa rinvio a quanto previsto all’art. 43 RD 1611/1933 (sul patrocinio dell’Avvocatura dello Stato) che ancora una volta ribadisce l’eccezionalità del ricorso al patrocinio da parte di avvocati del libero foro;
d) pertanto occorre sempre uno specifico atto di autorizzazione dell’organo deliberante;
e) se tutto questo manca l’avvocato si ritrova sprovvisto del cosiddetto jus postulandi, quindi, in pratica non ha il potere di rappresentare in giudizio l’Ente e di conseguenza tutti gli atti difensivi, le produzioni, le istanze e quant’altro ne vengono travolti;
e) questo tipo di grave difetto può essere rilevato in ogni stato e grado e non è sanabile, salvo il caso di cui all’art. 125 cpc (cioè, prima dell’effettiva costituzione in giudizio).
Sentenza Cassazione_equitaliaCosa comporta tutto questo? Un vero tsunami.
Ad esempio, tutti gli appelli e i ricorsi per Cassazione proposti dall’Agente della riscossione con un avvocato esterno diventano inammissibili, perché proposti da un avvocato che non aveva il potere di rappresentare in giudizio il suo cliente (cioè l’Agenzia). Ma non solo: in tutte quelle cause in cui il debito del contribuente o la ritualità di una notifica viene provato attraverso le produzioni effettuate dall’avvocato esterno, siccome quell’avvocato non aveva il potere di rappresentare l’Agente della riscossione quei documenti è come non fossero mai stati depositati: il giudice non può tenerne conto e devono essere espunti dal fascicolo processuale perché non ritualmente presentati.
In pratica è come se non fosse mai stato provato che il contribuente abbia mai avuto un debito verso il fisco, o che una cartella sia mai stata effettivamente notificata. E lo stesso vale per intimazioni di pagamento, iscrizioni ipotecarie, fermi amministrativi e qualsiasi altro atto impugnabile.
La cosa è di estrema rilevanza perché nel processo tributario l’Ente della riscossione viene qualificato come “attore in senso sostanziale”: vuol dire che, anche se formalmente la causa la comincia il contribuente è l’erario che ha l’onere di dimostrare di avere una valida pretesa tributaria nei suoi confronti e di avere rispettato correttamente tutte le procedure. Un principio consolidato e ribadito ai massimi livelli anche dalla Corte Costituzionale con una storica sentenza: la n. 109/2007.
Perciò, quello che oggi ci ritroviamo sul tavolo è di fatto il potenziale azzeramento, per motivi puramente processuali, di un buon 80% delle controversie in cui è parte l’Agente della riscossione, per il solo fatto che ha scelto di farsi assistere da avvocati del libero foro.
A tutto vantaggio del contribuente, che non ci stancheremo di mai di difendere in tutte le arene processuali. Parliamo di contenziosi pendenti per miliardi e miliardi di euro. Ma come si è potuto arrivare a questo?La verità che le tortuosità del meccanismo normativo si sono ritorte contro chi le ha scritte. E non è la prima volta.
Questo enorme pesticcio, infatti, è stato originato dalla combinazione tra una modifica delle norme sul processo tributario, apparentemente marginale (tanto che è sfuggita ai più), entrata in vigore nel 2016 (in particolare dell’art. 11 D.Lgs. 546/1992) e il DL 193/2016, di poco successivo, con cui è stata soppressa Equitalia ed è stata istituita al suo posto l’Agenzia delle Entrate Riscossione (società di diritto privato la prima, ente pubblico economico la seconda).
È da questa specie di mix esplosivo che è scattata la preclusione per l’Agenzia di riscossione di avvalersi di difensori esterni. Questa preclusione è sfuggita a molti perché “nascosta” in un groviglio di rinvii, alle normative regolamentari interne dell’Agenzia stessa e alle norme sul patrocinio dell’Avvocatura dello Stato. Questo ha reso ancora più dirompente la miscela esplosiva perché l’Ente della riscossione, sottovalutando l’entità del problema, ha continuato a farsi difendere da avvocati esterni accumulando di fatto materiale esplodente.
E adesso, come per incanto, possono essere rimessi in discussione i presupposti alla base di molte sentenze di primo e secondo grado delle Commissioni Tributarie, in cui il contribuente era soccombente.
Potrà sembrare un’uscita fuori contesto, ma non riesco a fare a meno di pensare a quella battuta del film “Apocalypse Now” in cui Robert Duval, nei panni del Colonnello Kilgore, prima di lanciare il mortale assalto del suo squadrone di elicotteri dice “Mi piace l’odore del napalm la mattina” e poi “quell’odore… sai quell’odore di benzina? Tutto intorno. Profumava come… come di vittoria”.