Mistero per una lettera che Matteo Messina Denaro, capo di Cosa Nostra, ha cercato di spedire dal carcere di L’Aquila prima della morte per un cancro al colon. La missiva è stata intercettata dall’apparato di sicurezza che sorvegliava il boss e probabilmente contiene il testamento del padrino, anche se al momento nessuno conferma il contenuto.
Messina Denaro era stato tradotto e detenuto nel supercarcere dell’Aquila subito dopo l’arresto effettuato dai ROS dei Carabinieri in Sicilia. La sua detenzione si è svolta metà in prigione, metà all’ospedale nel tentativo di debellare il tumore in avanzato stato di diffusione. Il 25 settembre scorso il suo decesso dopo un intervento chirurgico sul quale è in corso un’indagine d’ufficio della Procura dell’Aquila.
Il patrimonio del “boss”
Risulta difficile anche per gli investigatori accertare e quantificare il tesoro del boss di Cosa Nostra . Si parla di quasi 4 miliardi di euro, stima per difetto, dei guadagni di una vita piena di traffici di droga, estorsioni, riciclaggio, di guadagni illeciti nei settori fuorilegge più diversi, una quantificazione sulla base di quel che lo Stato, negli anni, è riuscito a sequestrare e confiscare al padrino di Castelvetrano e ai suoi numerosi prestanome.
Una parte della fortuna illecita è stata accumulata con investimenti nelle fonti rinnovabili, nell’eolico, “curati” per il boss dall’imprenditore trapanese Vito Nicastri, un’ex elettricista di Alcamo, pioniere del green in Sicilia, che avrebbe custodito per anni le chiavi della cassaforte segreta del capomafia. Risultanto anche degli investimenti nell’edilizia e la grande distribuzione, attraverso la ‘6 Gdò di Giuseppe Grigoli, un’altro prestanome, il salumiere diventato in poco tempo il re dei Despar in Sicilia a cui furono sequestrati beni per 700 milioni, di proprietà secondo i magistrati del boss di Cosa Nostra.
Gli investimenti nei villaggi Valtur
Secondo i pm ci sarebbero stati i soldi del capomafia, investiti nell’ex-Valtur, un colosso del valore di miliardi all’epoca dei fatti di proprietà di Carmelo Patti, deceduto il 25 gennaio 2016, un’ex muratore di Castelvetrano diventato copme per incanto “capitano d’azienda” finito nei guai per un’accusa di evasione fiscale. Le inchieste documentano che braccio destro di Patti, era il commercialista Michele Alagna, padre di Francesca una delle amanti di Messina Denaro, che ha dato una figlia al boss mai riconosciuta. Il tribunale di Trapani gli sequestrò nel 2018 beni per 1,5 miliardi, con una delle misure patrimoniali più importanti mai eseguite in Italia, come afferma la Dia che mise i sigilli a resort, beni della vecchia Valtur, una barca di 21 metri, un campo da golf, terreni, ben 232 proprietà immobiliari e 25 società.
Le indagini della Dda
Il cavaliere Patti venne indagato nel 2000 per mafia dalla Dda palermitana, dopo la trasmissione degli atti dalla procura di Marsala che lo indagava per falso in bilancio: il cavaliere del lavoro si dimise per questo dalla Gesap, la società che gestisce l’aeroporto palermitano dov’era stato indicato dall’allora sindaco Leoluca Orlando. Cominciò parallelamente un processo di misure di prevenzione per un sequestro di 5 miliardi di euro: Patti veniva accusato di rapporti con i boss di Castelvetrano Messina Denaro: il padre Francesco e il figlio Matteo. Il sequestro poi portò all’amministrazione giudiziaria e alla crisi della Valtur, al fallimento e alla vendita del marchio. Patti subì numerosi processi per evasione fiscale, fatture false e altri reati tributari da cui venne assolto. Tra i suoi accusatori vi è l’ex mafioso diventato collaboratore Angelo Siino. Nell’entourage di Patti si diceva che Siino lo accusava per contrasti che lui aveva avuto con Nina Bertolino, proprietaria della distilleria di Partinico e cognata del pentito.
Le inchieste raccontano dell’ ombra di Matteo nel turismo celato dietro al patrimonio di Giovanni Savalle, per anni un anonimo ragioniere iscritto all’albo dei commercialisti con dei piccoli precedenti per reati fallimentari, diventato proprietario all’improvviso del resort “Kempisnky” di Mazara del Vallo a cui la Guardia Finanza sequestrò 60 milioni. A raccontare dei rapporti tra Savalle e Messina Denaro era stato il medico Marcello Fondacaro affiliato alla ‘ndrangheta , il quale ha raccontato di un progetto imprenditoriale del boss trapanese: la realizzazione di un villaggio a Isola Capo Rizzuto che prevedeva la partecipazione al 33% di Cosa nostra e della ‘Ndrangheta.
Gli affari del boss mafioso nel Venezuela
Gli affari ed investimenti di Messina Denaro sarebbero arrivati anche in Venezuela, regno dei clan Cuntrera e Caruana che da Siculiana un piccolo paese dell’agrigentino, colonizzarono prima il Canada e poi il Sudamerica diventando dei “monopolisti” del narcotraffico. Franco Safina un pentito “minore” aveva rivelato che Messina Denaro aveva un tesoro in Venezuela investendo 5 milioni di dollari in un’azienda di pollame. Per gli inquirenti era un evidente “trucco” per riciclare i proventi del traffico di stupefacenti.
Del Venezuela aveva parlato Salvatore Grigoli, un collaboratore di giustizia, il killer di don Pino Puglisi. Si era nascosto ad Alcamo, nel trapanese, dopo essere stato ferito in un attentato, il padrino gli avrebbe detto “Se vuoi, per un certo periodo te ne vai in Venezuela e stai tranquillo” dove in Sudamerica come pure in Tunisia , sospettano gli inquirenti, si sarebbe nascosto Messina Denaro anche da latitante. Solo una parte del tesoro del padrino, sono certi i magistrati, è stata trovata e confiscata. Ma tutti si chiedono a a quanto ammonta il suo patrimonio ritenendo che le ricchezze illecite ancora da scoprire sarebbero ingenti.
Iniziando a partire dai soldi che gli sarebbero stati affidati da Totò Riina. che intercettato durante l’ora d’aria , parlando con un altro detenuto diceva “Se recupero pure un terzo di quello che ho sono sempre ricco“, diceva il capomafia di Corleone aggiungendo “Una persona responsabile ce l’ho e sarebbe Messina Denaro. Però che cosa fa per ora questo Matteo Messina Denaro non lo so. Suo padre era uno con i coglioni” , spiegava all’amico in carcere mostrando qualche diffidenza sulla capacità gestionale del boss trapanese, rivelando che parte del suo patrimonio potrebbe essere stato affidato proprio agli alleati di Castelvetrano.
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