di Antonello de Gennaro
Che cosa c’è dietro la polemica a distanza fra la società Edime, editrice da due anni della Gazzetta del Mezzogiorno, e il giornalista Giovanni Valentini, barese di nascita, già direttore del settimanale L’Espresso e vicedirettore di Repubblica, autore del volume intitolato “Il romanzo del giornalismo italiano” e pubblicato recentemente da “La nave di Teseo” ? La polemica si è innescata a seguito di un commento che Valentini ha scritto recentemente nella sua rubrica settimanale “Il Sabato del Villaggio” sul Fatto Quotidiano, titolo “Gazzetta, una onlus che fa arrivare due milioni di contributi”, la disputa riguarda la trasformazione del quotidiano di Bari in un’impresa sociale senza scopo di lucro, al fine di accedere ai fondi pubblici per l’editoria. L’Edime ha inviato una rettifica, in cui per la verità – come ha replicato lo stesso giornalista – confermava la sostanza dell’articolo, precisando che l’importo del contributo “deriva principalmente dagli ingenti costi sostenuti” (secondo l’ultimo bilancio, la perdita è di oltre quattro milioni e mezzo di euro) e che non può essere “distratto in favore dei proprietari della società editrice” (ciò che peraltro è vietato dalla legge). Abbiamo voluto perciò chiederne conto direttamente al collega Valentini.
© Perché questa polemica? Da che cosa nasce? E qual è, secondo te, il punto?
“Premetto che, da barese attaccato alle proprie radici, resto affezionato alla ‘Gazzetta’ anche per ragioni familiari: mio padre Oronzo, detto “Nino”, l’ha diretta per quasi vent’anni. E io stesso ho cominciato qui la mia carriera, tornando poi a scrivere editoriali per diversi anni sotto la direzione di Giuseppe De Tomaso. Il punto è che oggi questa trasfigurazione della società editrice in società sociale appare come un’operazione di convenienza economica e finanziaria: a vantaggio dei due imprenditori – Vito Miccolis e Antonio Albanese – che hanno rilevato la Gazzetta dal precedente fallimento e a carico di tutti i cittadini, anche da chi non la legge. Un’operazione ispirata a una prassi che è il vecchio male del capitalismo italiano: socializzare le perdite per scaricarle sullo Stato”.
© In questo modo, pensano forse di mettere in sicurezza il giornale…
“Purtroppo, non credo che sarà così. E me ne dispiace per la testata e per la redazione. Anche con un paio di milioni all’anno di sovvenzioni pubbliche, i conti non tornerebbero in pareggio. A meno che l’azienda non proceda, come c’è da temere, a un ulteriore piano di tagli e di esuberi che si ripercuoterebbero pesantemente sui giornalisti e sui poligrafici. Quando finirà la cassa integrazione a zero ore, saranno lacrime e sangue per tutti”.
© Qualcuno può sospettare magari che tu parli così perché non sei più diventato direttore della Gazzetta.
“Guarda, al contrario, parlo così per ‘troppo amore’! Mi addolora vedere il giornale di mio padre ridotto ai minimi termini, con una diffusione sotto le cinquemila copie in due regioni come la Puglia e la Basilicata, superato nelle vendite anche da un concorrente per così dire forestiero ultimo arrivato”.
© Ma è vero o no che Miccolis e Albanese ti avevano offerto la direzione e tu l’hai rifiutata per motivi economici?
“Non è esatto. È vero che me l’avevano proposta e che ero interessato per ovvii motivi, anche sentimentali. Ma quando ho verificato che i nuovi proprietari non avevano intenzione di investire su un piano editoriale neppure per tre anni e che mi volevano imporre un vicedirettore di loro fiducia, ho preferito rifiutare”.
© Chi era questo vicedirettore designato dalla proprietà?
“L’ex sindacalista Mimmo Mazza, al quale è stata affidata poi la direzione. Non avevo niente contro di lui, ma ho sempre pensato che il vicedirettore dev’essere un professionista scelto dal direttore, non un uomo di fiducia dell’editore. E poi…”.
© Stavi dicendo: e poi?
“Allora Mazza era capo della redazione di Taranto. E in una città di duecentomila abitanti come quella, con il disastro dell’ex Ilva, il porto e la Marina Militare, la Gazzetta vendeva a malapena sei o settecento copie al giorno. Non era, per lui, un bel biglietto da visita”.
©Era la prima volta che qualcuno ti offriva di tornare a Bari per dirigere la Gazzetta?
“Figurati! Sarebbe una storia troppo lunga…”.
© Dai, prova a raccontarla.
“I primi approcci risalgono ai tempi di Carlo Caracciolo, il Principe rosso, l’editore di Repubblica e dell’Espresso: il suo Gruppo aveva creato con successo una catena di giornali locali, fra cui il Mattino di Padova e la Tribuna di Treviso che andai a dirigere per due anni, raddoppiando le vendite e quadruplicando la pubblicità. Ma non se ne fece niente. Poi fu Marco Jacobini, all’epoca presidente della Banca Popolare di Bari, a chiedermi se fossi interessato alla Gazzetta del Mezzogiorno: pensava di mettere insieme una cordata di imprenditori e di spendere addirittura 150 milioni di euro per comprare e rilanciare la testata. Ma io stesso gli sconsigliai di impegnare una somma così grossa: non l’avrebbe mai recuperata. A un certo punto, l’editore Mario Ciancio si decise a mettere in vendita il giornale, chiedendo l’astronomica cifra di 120 milioni, completamente fuori mercato, poi ridotta a 102. Carlo De Bendetti, subentrato a Caracciolo alla presidenza del Gruppo L’Espresso, mi autorizzò a offrirne 37 a nome suo per arrivare al massimo fino a 40. Ciancio, però, come diceva l’Ingegnere, non aveva capito che il mondo dell’editoria era cambiato. Alla fine, nel 2020, ricevetti la proposta più interessante e stimolante: partecipare alla cooperativa che i giornalisti della Gazzetta avevano costituito”.
© Chi te lo propose?
“Furono i colleghi dello stesso comitato di redazione dell’epoca, Ugo Sbisà, Gianfranco Summo e Carmela Formicola, a interpellarmi. Venni a Bari, a mie spese, per un incontro preliminare con loro. L’idea di ‘fare un giornale fatto dai giornalisti’, senza padroni, autonomo e indipendente, era esaltante. Mi adoperai anche con una grande banca nazionale per far aprire una linea di credito a favore della cooperativa (500mila euro) e garantire un contratto di pubblicità per tre anni (se non ricordo male, un altro milione e mezzo): sarebbe stato anche un traino per tanti big spender. E infine, riuscii a far presentare dai Cinquestelle un emendamento alla legge sull’editoria, per ammettere ai fondi pubblici le cooperative anche prima di due anni di bilancio”.
© E perché fallì quel progetto?
“Non fallì. Naufragò. Fu boicottato dalla redazione, guidata da sindacalisti miopi e ottusi, interessati più alla propria carriera che a salvare il giornale, mentre i giornalisti erano preoccupati soprattutto di difendere il posto e lo stipendio. Ma così si rischia, prima o poi, di perdere l’uno e l’altro”.
© Tu che cosa avresti fatto della Gazzetta? Un quotidiano locale, regionale o nazionale?
“Mio padre diceva che ‘i giornali non sono fiori che nascono nel deserto’. La Gazzetta aveva una storia e una tradizione di giornale interregionale; era una testata ben radicata nel suo territorio; aveva tutti i numeri, a cominciare dalla testata, per diventare ‘il quotidiano nazionale del Sud’, cioè per rappresentare le esigenze e gli interessi legittimi del Mezzogiorno. I nostri concittadini e corregionali possono giudicare da soli quanto sarebbe necessario un giornale del genere, di fronte al ‘furto’ politico dei fondi del Pnrr che erano destinati al Sud e sono stati dirottati altrove”.
© Per te, insomma, i cosiddetti “editori impuri” dovrebbero essere eliminati dal mercato editoriale?
“Per carità, niente affatto! Gli industriali o i finanzieri che posseggono i giornali per fare affari, immobiliari o di altro genere, per ottenere licenze o concessioni, sono sempre esistiti ed esisteranno sempre. Ma proprio per questo occorre sostenere l’editoria libera e indipendente come quella delle cooperative formate dai giornalisti: le vere cooperative, non quelle finte che servono solo per coprire i buchi dei padroni e dei padroncini travestiti da editori”.
Grazie Giovanni, del tuo tempo e di averci voluto concedere questa intervista che siamo sicuri aiuterà i lettori (persi) dalla Gazzetta del Mezzogiorno a fare meglio le proprie scelte quando vogliono informarsi, alla ricerca di un’informazione libera ed indipendente.
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