ROMA – Dopo lo scandalo Cambridge Analytica, società accusata di aver violato profili degli utenti e averne fatto un uso illecito il fondatore e numero uno di Facebook, Mark Zuckerberg, aveva promesso in audizione al Parlamento Europeo il rispetto delle regole comunitarie. In quell’occasione si trattava di tutela della privacy, ma tutto ciò però non sembra aver indotto il popolare sito a rispettare la tutela degli iscritti al socialnetwork. Ma adesso il tempo a disposizione è terminato.
O Facebook o si mette in regola o saranno multe in tutti gli Stati membri dell’Ue. Nonostante gli impegni assunti per migliorare trasparenza, le informazioni sulla condizioni di utilizzo del social network rimangono ancora troppo “ingannevoli“, e quindi la Commissione europea ha coinvolto i 28 Stati europei. “Facebook mi ha assicurato che avrebbe adeguato definitivamente i rimanenti termini di servizio ingannevoli entro dicembre“, ha detto Vera Jourova, Commissario europeo per la Tutela dei consumatori, la quale lamenta dei “progressi molto limitati” in tal senso, aggiungendo “La mia pazienza ha raggiunto il limite. Se le modifiche non saranno pienamente attuate entro la fine dell’anno, invito le autorità dei consumatori ad agire rapidamente e sanzionare la società Facebook“.
I principali operatori del web sono finiti sotto osservazione di Bruxelles per delle pratiche commerciali non in linea con le regole del mercato europeo. In maniera diversa per ciascuno sono risultati “non conformi” alla direttiva sulle pratiche commerciali sleali, alla direttiva sul commercio elettronico, alla direttiva sulle clausole contrattuali abusive, e al regolamento sulla competenza giurisdizionale in materia civile e commerciale. Google, Twitter, Facebook e Airbnb si erano impegnati a rimediare, con Bruxelles che ha concesso loro il necessario tempo utile . Un procedimento che risale al novembre 2016, quando le associazioni dei consumatori hanno chiesto modifiche delle politiche commerciali, e successivamente a marzo 2017 vi è stato un incontro tra Autorità nazionali, Commissione Ue e le società americane, conclusasi con l’intesa tra le parti avvenuta a febbraio di quest’anno per una maggiore trasparenza e la tutela dei consumatori.
I rimedi proposti immediatamente da Google sono apparsi in linea con le richieste formulate dalle autorità di tutela dei consumatori. Twitter invece ha impiegato un po’ di più per convincere Bruxelles, che oggi pero non ha più rilievi da muovere alla società cinguettante. A fronte degli impegni attesi da Airbnb, che si è dichiarata pronta a presentare il prezzo totale delle prenotazioni, comprese le spese extra (servizio e pulizia). Quando non è possibile calcolare in anticipo il prezzo finale, si sono impegnati a informare chiaramente il consumatore che potrebbero essere applicati costi aggiuntivi. Inoltre, Airbnb si è impegnata a identificare chiaramente se un’offerta viene presentata da un host privato o da un professionista, poiché le regole di protezione del consumatore differiscono per ciascuna.
Airbnb specificherà anche nei termini di servizio che i consumatori possono citare in giudizio un ospite in caso di danni personali o altri danni, che i clienti sono autorizzati a presentare ricorso contro l’azienda dinanzi ai tribunali del loro paese di residenza, e che i chi paga sarà informato su eventuali risoluzioni di contratto, con tanto di diritto a presentare ricorso e di compensazione, se del caso.
Per quanto riguarda Facebook i nuovi termini di servizio che risalgono ad aprile scorso contengono una presentazione “ingannevole” delle principali caratteristiche dei servizi del social network. Infatti, contesta Bruxelles, il contenuto dei nuoti termini “dice ai consumatori che i loro dati e contenuti sono utilizzati solo per migliorare la loro “esperienza” complessiva e non menzionano che l’azienda utilizza questi dati per scopi commerciali“.