La Guardia di Finanza di Roma su ordine della Procura di Roma ha arrestato Stefano Ricucci insieme a Mirko Coppola, un imprenditore della zona di Frosinone che è soltanto omonimo di quel Danilo Coppola – protagonista in passato di diverse operazioni con Ricucci – ma non suo parente. L’ipotesi di reato contestata dalla magistratura romana è quella di false fatturazioni per circa un milione di euro in alcune società di Ricucci per gonfiare in modo abnorme il credito Iva. Entrambi si trovano in carcere.
Stefano Ricucci, immobiliarista di Zagarolo (Roma), 54 anni, ex marito di Anna Falchi, è il capofila dei cosiddetti “furbetti del quartierino“, il gruppo di imprenditori che nel 2005 tentarono la scalata a Bnl ed Antonveneta. Ricucci, tentò anche di scalare in proprio il Corriere della Sera.
Coppola secondo gli inquirenti, gestiva alcune società riconducibili a Ricucci. Una di queste in particolare, la “Pdc consulting srl” avrebbe emesse false fatturazioni per circa un milione di euro a favore della società “Lekythos“.
Gli altri indagati
Vi sono anche altri dieci indagati a piede libero, tra cui un magistrato del Consiglio di Stato. L’inchiesta dal nome “Easy Judgement” condotta dal nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza di Roma agli ordini del colonnello Paolo Compagnone, è stata coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo, e coinvolge altre dieci persone, che sono state indagate a piede libero.
L’ indagine della Guardia di Finanza
Gli inquirenti hanno diretto la propria attenzione attenzione sull’acquisto, effettuato da un commercialista di Milano, Filippo Bono, di alcune posizioni creditorie vantate da società apparentemente terze nei confronti della società fallita che sono state poi rivendute nuovamente a Ricucci. In questa operazione, Mirko Coppola avrebbe messo in contatto il commercialista milanese con l’immobiliarista. Tra le posizioni creditorie acquisite vi è un credito Iva pari ad oltre 20 milioni di euro, vantato dalla Magiste Real Estate Property spa nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, in attesa di rimborso in quanto oggetto di contenzioso in Cassazione.
La sentenza di secondo grado, era stata favorevole alla società ricorrente, è stata impugnata dall’Agenzia delle Entrate che sostiene l’indetraibilità dell’Iva poiché relativa a una fraudolenta compravendita immobiliare effettuata tra due società riconducibili a Ricucci.
Dalle indagini delle Fiamme Gialle sono venuti alla luce diversi elementi di anomalie sulla regolarità del contenzioso tributario in relazione alle motivazioni della sentenza di secondo grado che rappresenta, in buona parte, una sorta di “copia e incolla” delle memorie del contribuente, riproducendone i contenuti e addirittura gli errori di battitura.
Particolarmente significativo – per gli investigatori – è la circostanza che l’accordo per l’acquisizione del credito fiscale sia intervenuto nel febbraio 2015, epoca compresa tra la data della camera di consiglio (dicembre 2014) e la data del deposito della sentenza (aprile 2015), quando la decisione era di fatto già stata assunta ma non conoscibile alle parti in causa.
Le anomalie portate alla luce da Finanza e Procura hanno consentito di confermare l’interesse di Ricucci a rientrare in possesso degli asset immobiliari e dei crediti nell’ambito dalla procedura fallimentare; di acquisire elementi che proverebbero una conoscenza diretta tra lo stesso immobiliarista e il magistrato Nicola Russo, giudice relatore della sentenza di secondo grado che ha annullato la pretesa fiscale dell’Erario; e di rilevare contatti telefonici, nel periodo compreso tra la data della decisione e quello dell’emanazione della sentenza, tra lo stesso Russo e Liberato Lo Conte, ritenuto un soggetto riferibile all’immobiliarista.
Nella vicenda compaiono anche due dei figli di Enrico Nicoletti il famoso “cassiere” della “banda della Magliana“: Massimo Nicoletti è indagato per corruzione e ha subito una perquisizione all’alba di oggi, perché assieme a Mirko Coppola si sarebbe attivato per organizzare l’operazione finalizzata a recuperare un credito di imposta di 20 milioni di euro, pagandone uno solo. Antonio Nicoletti, anche lui figlio di Enrico, non risulta indagato ma è il titolare della concessionaria di auto dove il giudice Russo ha acquistato una Porsche Cayenne subito dopo aver depositato alla Commissione tributaria regionale del Lazio la sentenza che farà lievitare il valore del credito rilevato da Ricucci da zero a venti milioni di euro.
Secondo gli inquirenti, “è altamente probabile“ che il giudice Nicola Russo, magistrato indagato e relatore della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, “sia stato indebitamente retribuito da Stefano Ricucci in cambio della indebita rivelazione e/o anche dello sviamento della decisione in favore della società del gruppo Magiste. Depongono in tale senso: l’acquisizione di una ingente somma in contanti da parte di Ricucci nel periodo della decisione, gli acquisti di un’auto e di un immobile effettuati da Russo immediatamente dopo la sentenza, la presentazione da parte di Ricucci del Russo e di una donna presso l’hotel Valadier dove i due hanno soggiornato senza essere registrati e pagando in contanti con fattura emessa a nome di una altra persona e lo smodato tenore di vita di Russo“.
La procura per questi motivi aveva sollecitato anche per Russo l’applicazione della misura interdittiva della sospensione dall’esercizio della professione, ma il gip Gaspare Sturzo non è stato dello stesso avviso e ha rigettato la richiesta cautelare per insufficienza degli indizi, così come non ha creduto alla sussistenza di una ipotesi corruttiva perchè le indagini non hanno provato l’esistenza di pagamenti effettuati dall’immobiliarista al magistrato.