di Valentina Taranto
Maniaci dell’autoscatto in pose plastiche con espressioni affettatamente ricercate e con smartphone alla mano? Non state bene. Quello che poteva sembrare il giudizio impietoso di snob schivi è ora avvalorato da un giudizio medico dell’American Psychiatric Association (APA). I dottori hanno coniato un termine che descrive l’ossessivo del selfie, ovvero selfitis.
Secondo lo studio da parte della American Psychiatric Association chi ha la mania del selfie soffre di un disturbo mentale. “Mancanza di autostima e lacune nella propria intimità”. È questa la tesi proposta dall’associazione nei confronti di chi passa il tempo a farsi autoscatti per poi condividerli sui vari social network.
Il disturbo ha trovato anche un nome: il selfitis che tradotto in italiano potrebbe essere la “selfite“. I medici che hanno effettuato la ricerca sostengono che gli amanti del selfie soffrono di un desiderio ossessivo compulsivo di realizzare fotografie di sé stesso per poi pubblicarle online per compensare la mancanza di autostima e anche per colmare lacune nella propria intimità.
L’ American Psychiatric Association ha pubblicato anche una “scaletta” per valutare quanto si è “disturbati” dalla mania.
Selfitis Borderline: consiste nell’auto-scattarsi foto almeno 3 volte al giorno, me senza pubblicarle poi sui social network. Si tratta del livello più lieve del disturbo.
Selfitis acuta: in questa seconda ipotesi, il soggetto scatta almeno 3 selfie al giorno, ma decide di pubblicarli tutti sui social.
Selfitis cronica: è la voglia incontrollabile di scattarsi fotografie in qualsiasi istante e per tutto il giorno. In questo caso i selfie vengono poi pubblicati in rete almeno 6 volte al giorno. Si tratta dello stadio limite e più grave del disturbo.
Dunque, tutto sta nel quante foto al giorno pubblicare. La soluzione, secondo gli studiosi, consiste nel limitare la condivisione della vita privata alle sole persone appartenenti al mondo reale, disintossicandosi giorno per giorno dalla dipendenza, invece, dal mondo virtuale.