di Marco Ginanneschi
Superata la settimana di Ferragosto, le città tornano gradualmente a riempirsi dopo le vacanze che contrariamente alle apparenze non sono state lunghe allo stesso maniera per tutti. Infatti è possibile che un dipendente pubblico abbia usufruito di più giorni di vacanze per riposare di un manovale di cantiere . In generale, la differenza è intorno alle due settimane di vacanze in più
Sono i contratti nazionali, che disciplinano il lavoro dei dipendenti a gestire i loro periodi di vacanza. Un operaio del settore edile, sia esso contrattualizzato nell’industria che nell’artigianato, sono concesse tendenzialmente solo le tradizionali quattro settimane “di base” previste dalla legge nazionale. Condizione questa che può essere migliorata nell’ambito della contrattazione collettiva, sia per un commesso di un negozio che per un addetto alla reception di un albergo (quindi entrando nel settore del commercio e turismo). Si cresce di due settimane del calendario e due giorni, indipendentemente dalla circostanza che la settimana lavorativa termini il venerdì (e quindi sia di 5 giorni) o il sabato (quindi 6 giorni). Analogo discorso per chi lavora in una delle eccellenze del cibo “Made in Italy”, sia che lavori nella filiera della pasta o del famoso prosciutto italiano: i giorni nell’industria alimentare, variano da 22 con la settimana corta, a 26 con la settimana lunga. L’effetto è analogo al commercio: infatti si ottiene quel “premio” di due giorni, da sommare alle quattro settimane di base.
Lo studio comparativo svolto dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro ha individuato una maggiore suddivisione nella ripartizione delle fiere tra i metalmeccanici, in quanto si conteggia l’anzianità di servizio. Alle quattro settimane previste per legge, l’industria riconosce un giorno aggiuntivo per le anzianità tra 10 e 18 anni, crescendo oltre i 18 anni di servizio arrivando alle cinque settimane di ferie, come avviene ad esempio per tutti metalmeccanici-artigiani.
La ricerca della Fondazione ha messo in evidenza che però bisogna guardare a scuole o ministeri, cioè al settore “pubblico”, per scoprire il maggior quantitativo di ferie a disposizione. E’ bene ricordare che si tratta di numeri attinti dalla documentazione pubblicamente disponibile, che ovviamente non vogliono entrare in alcun caso in un discorso “di merito” sulla sacrosanta possibilità di accedere alle meritate ferie. previste e tutelate dalla norma, né tantomeno sulla capacità e professionalità dei dipendenti in questione, pubblici o privati che siano.
“Nella Pubblica Amministrazione, indipendentemente dalla categoria legale, il lavoratore ha diritto in genere a 32 giorni lavorativi di ferie che salgono a 36 se la settimana è distribuita su sei giorni la settimana“. Significa sei settimane e due giorni l’anno, con una penalizzazione di due giorni per chi ha anzianità inferiore a 3 anni. Un vantaggio medio di due settimane rispetto ai dipendenti privati, che la Fondazione Studi quantifica in un corrispettivo economico di 4,7 miliardi di euro di stipendi versati dallo Stato.
L’ Aran – l’agenzia del Governo che si occupa di pubblico impiego – ha comunicato recentemente una “stretta” sulle ferie dei dipendenti della Pubblica Amministrazione, precisando che possono esser richiamati in servizio per necessità organizzative, a condizione di avere il viaggio di rientro pagato, e che non è possibile sfruttarle “a ore” ma solo a giornate intere.
A giorni è previsto il riavvio del confronto tra Governo e sindacati sul futuro dei dipendenti pubblici: da una parte vi sono alcuni tasselli della riforma Madia con il giro di vite sulla dirigenza statale e la riforma delle Camere di Commercio approvate dal Consiglio dei Ministri di ieri 25 agosto; dall’altra è attesa la riapertura del tavolo sul rinnovo dei contratti della Pa, con al centro la questione fondamentale delle risorse disponibili. Il Governo ha avanzato attualmente un budget da 300 milioni, ma per i sindacati invece servono 7 miliardi per “recuperare la dignità perduta” a seguito degli ultimi anni di congelamento. Una dignità che la Cgil ha quantificato e monetizzato in 212 euro lordi al mese, non riconosciuti, nei quasi sette anni di mancati rinnovi contrattuali. Ristrettezze alle quali, anche secondo la Suprema Corte di Cassazione, è arrivato il momento di mettere la parola “fine”.