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21 Novembre 2024 19:03

FIGLI (E FIGLIASTRI) DI TROJAN

Ordinanze di custodia cautelare e connessi massacri mediatico-giudiziari letteralmente costruiti su frasi mai pronunciate, su parole mai dette, su trascrizione farlocche . Verrà un giorno (e mi sa che ci stiamo avvicinando a larghi passi) che anche gli idolàtri delle manette capiranno di quale materia tossica sia fatto il leggendario trojan, cioè un microfono perennemente acceso a registrarti la vita, per settimane o per mesi.

di Giandomenico Caiazza

Il Direttore Marco Travaglio ha dedicato un suo scoppiettante articolo di fondo ad alcuni inconvenienti occorsi agli inquirenti nell’uso del trojan inoculato nel cellulare del dott. Luca Palamara. I faziosi, si sa, funzionano come gli orologi rotti; un paio di volte al giorno capita anche a loro di segnare l’ora esatta. Ed è questo il caso, perché ciò che Travaglio ha scritto, in sé considerato merita senz’altro attenzione. Racconta, il Nostro, una serie di coincidenze che gli appaiono meritevoli di un serio approfondimento.

il pm Luca Palamara, attualmente sospeso dal Csm

In sostanza, quando il dott. Palamara programma l’incontro a cena con l’allora Procuratore capo di Roma dott. Pignatone, il trojan improvvisamente smette di funzionare un attimo dopo la telefonata di conferma dell’appuntamento, e dunque dalle quattro del pomeriggio fino alla tarda serata (anche se il dott. Palamara viene invece regolarmente intercettato al telefono mentre la spia ambientale risulta in panne). E quando, in altre occasioni, il leader di Unicost fa il suo nome, gli agenti di polizia giudiziaria addetti all’ascolto non sentono o trascrivono fischi per fiaschi. In un caso, siamo alle comiche: Palamara, secondo quegli agenti, avrebbe detto non “Pignatone” ma “carabinierone”, una parola senza senso che non ti verrebbe in mente di pronunciare nemmeno sotto effetto di potenti allucinogeni. Lo stesso, ci racconta Travaglio, sembrerebbe accadere quando le chiacchierate sfiorano il Colle.

Bene, si vedrà dove va a parare questa storia; ma l’incanto di Travaglio che esprime un sennato pensiero critico su una operazione investigativa, come per gli orologi rotti di cui si diceva, svanisce qui. È infatti semplicemente ridicolo che si scoprano i danni del trojan, dopo averne per anni esaltato con un tifo da stadio le virtù poliziesche, civiche e salvifiche, solo quando fa comodo, per esempio quando questo aiuti a sparare a palle incatenate contro il dott. Pignatone (sono le guerre private del Direttore e delle sue milizie: auguri). D’altronde, siamo sicuri, Direttore, che questi improvvisi mancamenti tecnici abbiano riguardato, nella inchiesta perugina, solo il Procuratore capo di Roma?

Verrà un giorno (e mi sa che ci stiamo avvicinando a larghi passi) che anche gli idolàtri delle manette capiranno di quale materia tossica sia fatto il leggendario trojan, cioè un microfono perennemente acceso a registrarti la vita, per settimane o per mesi. L’illusione che in tal modo, ascoltandoti anche nella più inviolabile intimità, si possa apprendere “la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità”, è -appunto- tipica del pensiero rozzo e becero del manettaro, abituato a semplificare il mondo in buoni (categoria alla quale ovviamente si auto-iscrive) e cattivi (gli altri).

Al contrario, questo ascolto ossessivo, voyeuristico, onnivoro della vita altrui restituisce un materiale proteiforme, indistinguibile, tossico, nel quale è più facile che una indagine si strozzi ed affoghi. Nessun essere umano, infatti, colto nella sua totale, incontrollata libertà di dire tutto ciò che gli passi per la mente, resta immancabilmente fedele alla verità. Non siamo i pubblici ufficiali della nostra vita e del nostro pensiero, idioti che altro non siete.

Nel fluire incontrollabile della nostra giornata, raccontiamo, millantiamo, confessiamo, alteriamo, coloriamo, deformiamo la verità ad ogni piè sospinto, per convenienza, per pudore, per vanità, per liberarci da un seccatore, per nascondere un segreto, per provocare una reazione nel nostro interlocutore, per sondare sentimenti ed opinioni, per suscitare stupore, ammirazione, polemica, curiosità. Vai poi a distinguere il grano dal loglio, se sei capace.

Questo già vale nelle conversazioni telefoniche, dove tuttavia siamo istintivamente più sorvegliati, più guardinghi, più attenti. Ma nella libertà ambientale assoluta delle 24 ore, produciamo un materiale affabulatorio che solo una ossessiva ottusità manettara può immaginare sia utilizzabile alla stregua del verbale di un consiglio di amministrazione. E infatti già leggiamo dalle cronache impazzite del soi disant “caso Palamara” che, ohibò, se il magistrato da un certo giorno ha saputo di essere spiato dal trojan, vuoi vedere che sparge veleni e trappole in quelle sue conversazioni? Dice la verità, o depista? Ai posteri l’ardua sentenza.

Se poi un trojan d’improvviso smette di funzionare, beh cosa vuoi? Non pretenderai che funzioni 24 ore su 24, ci sono i cali di corrente, le onde radio, le scie chimiche, vattelapesca perché. Quanto agli errori di trascrizione da parte della Polizia Giudiziaria, suvvia Direttore Travaglio! Se ci dà spazio sulle colonne del suo giornale noi avvocati penalisti gliele riempiamo di aneddoti a migliaia. Ci dovrebbe dedicare almeno due paginoni al giorno. Ordinanze di custodia cautelare e connessi massacri mediatico-giudiziari letteralmente costruiti su frasi mai pronunciate, su parole mai dette, su trascrizione farlocche a fronte delle quali “carabinierone” è un sussurro familiare, un plausibile equivoco. 

Dunque si decida, Direttore; se le piace l’aggeggio, le tocca tenerselo -come si dice a Roma- con tutto il cucuzzaro. O con tutto il “carabinierone”, se preferisce.

*Presidente Unione Nazionale Camere Penali Italiane

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