di Marco Follini
Ma davvero Giorgia Meloni nel votar contro la nuova commissione europea s’è comportata da “democristiana”? Davvero quel suo “no” a Von der Leyen, come scrive Marcello Sorgi, è “un dire e non dire, fare nell’ombra il contrario di quel che s’è detto alla luce, dichiararsi per il no ma sotto sotto non far mancare qualche sì” laddove in nome dell’amicizia “nel vecchio scudo crociato si compivano sorridendo assassini politici, accordi imprevedibili e soprattutto inconfessabili”? Davvero la Dc è stata quel caravanserraglio di doppiezze, ambiguità, astuzie che viene periodicamente richiamato e adattato alle mutevoli convenienze dei suoi tardivi e improbabili imitatori?
Mi permetto di obiettare. Intanto perché sui temi europei i vecchi democristiani sono stati sempre di una coerenza adamantina e direi perfino di una prevedibile (ma anche assai benemerita) ripetitività. Non votarono mai “contro” e non ebbero mai dubbi, nessuno di loro, sul fatto che il riscatto italiano passasse attraverso il pertugio della più rigorosa obbedienza europeista. Si mediava all’epoca su tante cose, ma su queste, almeno su queste, vigeva piuttosto una linearità senza tentennamenti. E poi perché sarebbe ora di liberarci tutti –democristiani e antidemocristiani– di questo ricorrente racconto che ci descrive ogni volta come figure politiche tentennanti, prive di un principio, pieghevoli fino all’irrilevanza, devote al vento del momento.
Piaccia o no, la Dc fu una politica, non un costume. E neppure solo un metodo. Fece le sue scelte, anche controverse. Ebbe convinzioni profonde e suscitò inimicizie altrettanto profonde. Tutte cose che possono piacere oppure no. Ma che andrebbero raccontate anche in nome dei conflitti che a suo tempo suscitarono. Conflitti che non furono quasi mai così edulcorati come ora, a distanza di anni, possono apparire.
Non sarebbe giusto erigere un monumento postumo alla buona creanza dei vecchi democristiani. E neppure però demonizzare quella loro duttilità in nome della chiarezza successiva con cui la politica ha preteso di esprimersi all’indomani della loro fine. Non fu ambigua a suo tempo la Dc, e infatti si può essere certi che ieri a Strasburgo avrebbe votato a favore della nuova commissione europea. Ma non le mancò mai l’accortezza di guardare oltre i suoi stessi confini e di considerare che negli argomenti dei suoi oppositori c’era sempre qualche frammento di verità su cui riflettere.
Nella fattispecie, credo che Meloni con il voto di ieri ci abbia ricordato che lei non è “democristiana” e non ambisce affatto a diventare tale. Anzi, è assai probabile che in cuor suo si feliciti di aver fatto un gesto così dirompente. A lei appartengono le sfide avventurose. Ai vecchi democristiani, il progresso senza avventure. Due identità, appunto. Lungo quel confine c’è un baratro, non una sfumatura. A conferma che l’essere stati democristiani implica sempre un certo numero di contrasti e dissensi. E a dispetto di quella sorta di leggenda che viene invocata per descriverli/ci come gente astutamente pronta a promuovere –insieme– una causa e il suo contrario.
Ho verso Marcello Sorgi un antico sentimento di amicizia, privo di sottigliezze troppo “democristiane”. E conosco, in virtù di una lettura quotidiana, la raffinatezza delle sue analisi politiche. Ma quel racconto democristiano che tanto spesso indulge alla caricatura è troppo frequente nel nostro senso comune perché non vi si faccia obiezione. Non tanto in nome dell’onorabilità degli antenati democristiani. Piuttosto, in ragione della estrema facilità con cui i nuovi venuti fanno esattamente il contrario.