di Antonello de Gennaro
“Come tutte le cose umane, anche la Mafia ha un inizio e avrà una fine…”, disse in una famosa intervista Giovanni Falcone poco tempo prima di saltare in aria con la sua macchina blindata su quella maledetta autostrada A29, insieme a sua moglie Francesca Morvillo e tre poliziotti della sua scorta. Eravamo stati insieme pochi giorni prima ad un concerto alle Terme di Caracalla, insieme a sua moglie Francesca, e ricordare il loro sorriso di gratitudine, di felicità e finalmente di spensieratezza, mi avevano reso felice di averli fatti invitare dalla Stet. Un ricordo indelebile che porto nel mio cuore.
Quel 23 maggio 1992 a Capaci in Sicilia si concludeva la sua vita ma ne ne cominciava un’altra che non è ancora finita: la lotta alla Mafia che quel giorno, con una bomba innescata da 400 chili di tritolo, dette il via a quella stagione delle stragi, delle morti innocenti di servitori dello Stato, con un attacco frontale al cuore del Paese dopo averne contaminato e persino incarnato interi pezzi deviati.
Da quella maledetta primavera-estate che si portò via i due magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, due simboli di “veri” magistrati che hanno lottato nonostante tutto ad armi impari contro Cosa Nostra sono passati ventotto anni . “È stato il nostro 11 settembre“, scrive oggi il collega Francesco La Licata sul quotidiano “La Stampa”.
Il 23 maggio è l’ 11 settembre del nostro Paese . “L’Italia si ricorda di Falcone solo per pulirsi la coscienza“, racconta oggi in un’intervista Angelo Corbo, uno degli agenti di scorta che sopravvissero all’attentato. Purtroppo ha ragione lui, che ci ricorda come la lezione di Falcone non l’abbiamo assorbita, perché la mafia non è solo organizzazione criminale, è una maledetta mentalità, è sotto cultura, è un cancro.
Un cancro che ci portiamo dietro da troppo tempo, che si è radicato ed esteso nella vita pubblica e purtroppo anche all’interno delle istituzioni come lo stesso Falcone ha purtroppo avuto modo di provare sulla propria pelle, e come continuiamo a verificare ancora oggi con i nostri occhi leggendo le intercettazioni dell’inchiesta sul Csm e le manovre di due parlamentari del PD Cosimo Ferri (un magistrato in aspettativa) e Luca Lotti per controllare e condizionare il corso della giustizia e delle inchieste.
La Polizia di Stato, sulle note del Silenzio, nel Sacrario dei Caduti ha ricordato con commozione ed orgoglio gli Agenti di scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Vito Schifani, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi , Claudio Traina i quali – insieme ai giudici Falcone, Morvillo Paolo Borsellino – sono stati trucidati 28 anni fa dalla barbarie mafiosa associata ai “servizi” deviati .
“Tanto è stato fatto ma ancora molto resta da fare. È un dovere far vivere ogni giorno quel patrimonio di valori di legalità e giustizia che quei servitori della Stato, pagandolo con il sangue, ci hanno lasciato in eredità.Il loro coraggio e la loro forza d’animo possano fungere da guida per le giovani generazioni” si legge in un comunicato della Polizia di Stato, che condividiamo parola per parola.
“Questo 23 maggio non ci abbracceremo e non saremo in strada per ricordare il sacrificio di Giovanni” scrive la sorella Maria Falcone perché le restrizioni governative sul Coronavirus ce lo vietano. Ma questa volta dobbiamo abbracciarci con il cuore, con la mente, nel suo ricordo. Per non dimenticare.
Fatelo anche voi come ha chiesto Maria Falcone esponendo oggi pomeriggio alle ore 18 un lenzuolo bianco dal vostro balconi, dalla finestra. Un segnale di legalità che non dobbiamo mai stancarci di rispettare.
Io cerco di ricordarlo ogni giorno, con il mio cuore, con il mio giornalismo all’insegna della legalità. Quella “legalità” che Giovanni Falcone con il suo esempio ed i suoi consigli mi ha insegnato. Un insegnamento che ha tramandato a tutti gli altri italiani che lo hanno amato ed apprezzato. E mai smesso di ricordare. Giovanni Falcone è e sarà sempre nel mio cuore.