“Se un magistrato decide di amministrare la notizia come fosse una cosa propria violando il codice disciplinare io lo denuncio al Csm“. Il capo della Procura di Torino, Armando Spataro, tarantino, stringe le redini al suo ufficio, che regge dal luglio dello scorso anno, nella gestione dei rapporti con la stampa. Serve una comunicazione più ufficiale e più coordinata, quando è possibile, mentre qualche volta negli ultimi mesi il procuratore è dovuto intervenire per reindirizzare le informazioni rese pubbliche su alcuni fascicoli appena aperti. Nel mirino eccessi di protagonismo o di enfasi, da parte di alcuni magistrati, sul proprio lavoro. Ma a lasciare perplesso il capo della Procura anche le conferenze stampa “che servono soltanto in casi eccezionali”, mentre i comunicati stampa sono più utili nell’attività ordinaria e meno si prestano a fraintendimenti.
In un incontro con i giornalisti a Palazzo di Giustizia – a cui hanno preso parte anche i procuratori aggiunti Alberto Perduca e Vittorio Nessi, Paolo Borgna e Andrea Beconi, il direttore de “La Stampa” e futuro direttore de “la Repubblica” Mario Calabresi, il presidente dell’Ordine dei giornalisti piemontese Alberto Sinigaglia e quelli degli avvocati torinesi Mario Napoli e dei penalisti Roberto Trinchero – Spataro si è però insistentemente detto favorevole a far accedere agli atti di un’inchiesta i giornalisti, “da un certo momento in poi – ha precisato – e dopo che il giudice abbia deciso che cosa è rilevante e che cosa no” a cominciare dalle intercettazioni telefoniche. “Nessun legislatore – ha affermato Spataro – può sostituirsi al giudice nella valutazione della rilevanza“.
Il procuratore capo Spataro in sostanza si è espresso per un rapporto con i mezzi di informazione “più centralizzato e meno spettacolarizzato ma anche collaborativo“, con l’apertura a Palazzo di Giustizia, nei prossimi giorni, di una sala stampa per i giornalisti, spesso costretti a lavorare nel bar del tribunale o in altre condizioni precarie. Calabresi e altri giornalisti hanno replicato come la tensione tra magistrati e giornalisti sia un fenomeno naturale, che anzi in sua assenza “il giornalismo è finito”. I giornalisti hanno il dovere di non autocensurarsi, ha aggiunto il futuro direttore di Repubblica, e spesso il lavoro di indagine dei cronisti stessi è di supporto a quello dell’autorità giudiziaria che proprio dalla stampa, grazie al suo lavoro autonomo di ricerca delle notizie, riceve informazioni utili alle inchieste.
Ecco cari lettori un buon esempio di gestione di una Procura, e sopratutto di rapporti con la stampa. Cioè tutto quello che a Taranto non accade, con i “ventriloqui di fiducia” dei vari pm, con cui vanno a braccetto persino al bar di Palazzo di Giustizia. Chi sono i “ventriloqui” ? Semplice: basta leggere le cronache giudiziarie di due quotidiani (stampati) pugliesi. immancabili nomi e foto dei “soliti” magistrati, giudici ed avvocati, dalla “chiavetta-pen drive” facile….