di Marco Follini
E’ assai probabile che tutto il polverone che s’è sollevato sui temi della giustizia produrrà l’esito che già si intuisce. E cioè, nessuna riforma in cambio di molte polemiche. Infatti lo stillicidio di questi giorni evoca l’eterno duello tra la politica e la magistratura. Duello da cui la politica non ha mai ricavato più potere e da cui la magistratura a sua volta non ha sempre ricavato più credito. Rimanendo tutti appesi ai propri argomenti e al proprio scontento.
Il ministro Crosetto è stato il primo a ridare fuoco alle polveri. Lo ha fatto con un’intervista nella quale ha alluso all’eventualità che una parte della magistratura si stia apprestando a svolgere una forma di ‘opposizione giudiziaria’. Eventualità di cui ha colto qualche avvisaglia in una certa agitazione dell’ala più critica delle toghe. Come era prevedibile, l’associazione dei magistrati gli ha risposto in men che non si dica difendendo l’onore e il prestigio dei propri associati. E come era ancor più prevedibile, le opposizioni hanno cavalcato l’argomento, unendosi a gran voce al coro delle critiche e dei sospetti.
Poi ci si è messo il rinvio a giudizio del sottosegretario Delmastro, della cui difesa il governo si è subito fatto zelantemente carico e intorno al quale si profilano giornate parlamentari non proprio armoniose. Come quelle del resto da cui tutta questa brutta storia trae origine. Così, ci apprestiamo ad andare incontro a nuovi conflitti e nuove polemiche sapendo che l’esito più probabile di tutto ciò è che le cose alla fine restino come prima. Più o meno.
Ora, Guido Crosetto è tra gli uomini di governo di maggior talento. Non parla a vanvera ed è attento ai profili istituzionali delle cose che dice e delle cose che fa. Tanto più viene da chiedersi perché mai si sia lasciato andare a considerazioni così estemporanee, e per giunta fuori dall’ambito del suo dicastero. Nessuno gli può negare il diritto di dire la sua, ci mancherebbe. Ma proprio chi lo apprezza vorrebbe suggerirgli una maggiore prudenza. A tutela del governo, oltre che sua.
E tuttavia la critica che si può fare a Crosetto non cancella il dubbio che qualche altra critica possa essere rivolta anche a quanti hanno subito gridato allo scandalo. Perché appunto vi è scandalo anche in un pezzo della nostra storia giudiziaria di tutti questi anni. Esso consiste -a dirlo in due parole- in un certo protagonismo politico a cui una parte della magistratura si è fin troppo dedicata. Assumendosi in qualche caso l’onere improprio di scrivere con le sue sentenze la ‘vera’ storia d’Italia. E offrendo alla politica una nutrita squadra di candidati, sparsi qua e là, animati da un protagonismo di parte che non ne ha certo accresciuto la terzietà. Valga per tutti il caso di Di Pietro e della sua Italia dei valori. Non l’unico, ma il più simbolico.
S’intende che la politica non può mai invocare impunità per se stessa. E che non le giova affatto l’evocazione di complotti -il più delle volte troppo fantasiosi. Ma s’intende anche che la giustizia non è un contraltare politico, un vero e proprio contropotere; e ogni volta che dà l’idea di voler indossare quei panni finisce per perdere una parte della sua stessa autorevolezza.
Così il rischio è che si contrappongano due anomalie. Dalla parte del governo e della politica un eccesso, chiamiamolo così, di suscettibilità. Dalla parte della magistratura un opposto eccesso, chiamiamolo così, di sospettosità. Se Hegel ammoniva sul fatto che le grandi tragedie della storia discendono quasi sempre dallo scontro tra due ragioni, in questo caso verrebbe da dire che la difficoltà di cui stiamo dissertando discende semmai dal conflitto tra due torti. O almeno tra due eccessi.
Alla fine di tutto questo la previsione più facile da formulare è che non si farà nessuna riforma della giustizia. Quella riforma che -a parole- tutti i contendenti reclamano. Salvo avere idee assai diverse e confliggenti su quale sia la riforma giusta.