di Marco Follini
Arthur Schlesinger, il grande storico americano che ispirò John Kennedy e costruì il mito della ‘nuova frontiera’ scrisse infine un libro in cui teorizzò che la storia americana era una lunga successione di ‘cicli’. Così, c’era il ciclo progressista e quello conservatore, e poi il ciclo dell’isolazionismo e quello dell’interventismo sulla scena internazionale e via dicendo. Un continuo vai e vieni tra le diverse indoli del paese.
Allo stesso modo verrebbe da dire che anche la politica italiana alterna quasi ciclicamente certe sue tendenze. E in particolare trascorre da fasi nelle quali tende a dividersi in due, opponendo destra e sinistra anche assai radicalmente, a fasi nelle quali invece tende a convergere verso il centro. Sicché verrebbe da iscrivere la prima repubblica alla tendenza, chiamiamola così, centripeta, e la seconda a quella centrifuga.
La verità è che nel nostro caso i cicli più spesso si mescolano e quasi si confondono. Da un lato infatti ci troviamo in una fase di radicalizzazione della contesa. A destra prevale con la Meloni uno spirito identitario ben più spiccato e convinto di quello che improntò la stagione berlusconiana. E a sinistra lo smarrimento del Pd e la versione più radicale del M5S di Conte spingono a loro volta verso esiti ben lontani da ogni possibile deriva centrista. In questo quadro il solo parlare di larghe intese, accordi istituzionali e spirito bipartisan appare quasi come una sorta di bestemmia politica.
Poi però, l’altra molla che ci spinge verso un continuo rimescolamento delle carte torna a farsi sentire. E così, basta appena che i centristi di Calenda si affaccino sulla soglia di Palazzo Chigi e prospettino al governo la possibilità di intessere una piccola trama comune in vista del passaggio parlamentare della legge finanziaria e subito si ritorna punto e daccapo. Con l’ala berlusconiana che si mostra infastidita dalla sola idea che un pezzo di opposizione concorra a modificare qualcosa dell’impianto di maggioranza. E l’ala sinistra pronta a sua volta a descrivere il terzo polo come una sorta di soccorso bianco offerto troppo generosamente al governo di destra.
La verità è forse più semplice. E risiede nel fatto che la politica di casa nostra mal sopporta la monotonia di schemi che si ripetono troppo uguali a se stessi. Così, tende a coltivare nuove fantasie, spesso anche molto immaginarie, per non sentirsi costretta nella rigidità delle sue formule.
La cosa più probabile è che questa maggioranza duri per tutta la legislatura. Magari litigando, ma senza troppi strappi. E che le opposizioni a loro volta trovino il modo di venire a capo delle mille differenze che le attraversano. Infatti il mescolarsi delle cose che s’è prodotto una prima volta con Monti e una seconda volta con Draghi è costato troppo ai partiti che l’hanno voluto (o subìto) per indurli a ripetere l’esperimento. E però proprio la rigidità nella quale lo schema bipolare fissa i ruoli e scrive il copione degli uni e degli altri finisce per dare vita a un formato che mal si attaglia ai nostri racconti e alle nostre abitudini. Così, nuove varianti si aggiungono via via e inedite fantasie alludono spesso a schemi più fantasiosi.
Il fatto è che i due schieramenti principali sono tutti e due meno coerenti di quanto non amino raccontare. A destra si avverte infatti un certo malumore dei junior partners -la Lega e Forza Italia– verso il predominio del partito meloniano in grande spolvero elettorale. E a sinistra la coabitazione tra il Pd in versione post congressuale e i pentastellati in versione post grillina si annuncia ancor più faticosa di quanto si sia visto fin qui. Aggiungiamo che sulla politica estera si intravedono fenditure piuttosto profonde, tra i distinguo sulla fornitura di armi all’Ucraina e certi inconfessabili legami con la Russia putiniana.
Ce n’è abbastanza per prevedere che i due cicli ricorrenti della nostra politica -quello delle grandi intese e quello dei opposti radicalismi- continuino a intrecciarsi nei modi più bizzarri e fantasiosi. Ma anche utili, qualche volta