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22 Dicembre 2024 17:30

I “clan” della malavita di Bari associati nello sfruttamento dei videopoker

I magistrati della DDA di Bari hanno contestato agli indagati, a vario titolo, fatti relativi agli anni 2012-2019, con reati di illecita concorrenza con violenza e minaccia, con l'aggravante del metodo mafioso, contrabbando di sigarette e detenzione abusiva di armi clandestine, estorsione, riciclaggio ed usura. ALL'INTERNO I VIDEO DELL' OPERAZIONE

ROMA – La “mala” barese si era associata per controllare il monopolio sulla gestione delle sale giochi, con un accordo tra quasi tutti le famiglie malavitose del capoluogo pugliese che gestiva una miriade di attività illegali scoperte a seguito dell’ operazione “Gaming Machine” condotta dal Gico della Guardia di Finanza di Bari affiancata dai colleghi dello SCICO di Roma, l’elite investigativa ed operativa delle Fiamme Gialle,  che hanno portato 27 persone in carcere e 9 agli arresti domiciliari, mentre altre 12 sono indagate.

L’indagine coordinata dal procuratore aggiunto Roberto Rossi e dal pm Bruna Manganelli, della Dda di Bari che ha chiesto ed ottenuto dal Gip Giovanni Abbattista misure cautelari e sequestri di beni per 7,5 milioni. Baldassarre D’Ambrogio, detto Dario, nipote di Nicola considerato il “braccio destro” di Domenico Strisciuglio (noto come  Mimmo La Luna) attualmente detenuto al 41 bis, era l’anello di congiunzione tra la mafia barese e gli imprenditori di ogni quartiere della città .

L’inchiesta è partita nel 2015 , hanno spiegato gli inquirenti, grazie alla “coraggiosa denuncia“, di un tabaccaio barese, vittima di usura ed estorsione. In una intercettazione tra il commerciante vittima e un indagato si legge: “Queste persone si mettono a portare cose e non mi avvisano. Alla fine il bar non è più mio, è vostro, è di tutti . Quello impone una cosa, quello ne impone un’altra, tu ne imponi un’altra ancora. E io che ci sto a fare qui? Il pupazzo?”.

In conferenza stampa il Procuratore capo di Bari Giuseppe Volpe  ha affermato che “in questa indagine c’e il gotha di tutti i clan più importanti di Bari che imponevano con il metodo mafioso i videopoker che il monopolista Baldassarre D’Ambrodio, mente dell’intero sistema illecito, voleva fossero installati“.

Il procuratore aggiunto Rossi ha colto l’occasione della maxi-operazione, per evidenziare la necessita di aumentare i ranghi degli investigatori sostenendo che “alle forze dell’ordine non servono pupazzi da mettere sulle strade per farli vedere, ma uomini che possano fare indagini“.

Questa importante parentela criminale avvallata  dai boss dei clan Anemolo,  Capodiferro, Capriati,   Zonno/Cipriano ,  D’Ambrogio (titolare della Diamond e della LuxuryGame) e Strisciuglio secondo gli inquirenti avrebbero imposto le sue slot e i suoi videogiochi a decine di proprietari di bar e sale giochi. I clan  riciclavano denaro provento di attività illecite utilizzando le sale da gioco, svolgendo anche attività usuraie, svolta con l’applicazione di tassi pesantissimi nei confronti di decine di imprenditori.

Un ruolo di primo piano  nell’ambito delle attività criminali sarebbe stato svolto anche dalle donne. a partire da Maria Cantalice, moglie del D’Ambrogio e la zia Maria Cantalice   ( entrambe poste agli arresti domiciliari) nonché con un giro di parenti che contribuivano a seminare autentico terrore tra le loro vittime.

Gli emissari dei diversi gruppi criminali indicavano, ai titolari delle attività commerciali ubicate nei territori su cui esercitavano la loro influenza, il D’Ambrogio quale unico noleggiatore cui rivolgersi per l’installazione dei congegni da intrattenimento, facendo previamente rimuovere eventuali apparecchi di altri imprenditori già presenti nell’esercizio ed impedendo così agli esercenti la libera scelta del fornitore cui rivolgersi in base alla convenienza economica e alle regole di mercato improntate alla libera concorrenza.

La provvigione corrisposta ai clan veniva calcolata basandosi sul numero di slot machine che le organizzazioni mafiose riuscivano a far installare presso gli esercizi ubicati nelle zone di rispettivo controllo, cioè agli incassi che ciascun esercizio commerciale otteneva dalle giocate effettuate sugli apparecchi noleggiati. Le indagini hanno evidenziato anche la riscossione di una somma di circa 100 euro per congegno installato, cioè il pagamento di una somma forfettaria mensile variabile tra 1000 e 5000 euro in base ad esempio della qualità dei rapporti con il clan criminale di riferimento ovvero in base all’ubicazione dell’esercizio commerciale ove erano installati gli apparecchi. In altri casi la provvigione riconosciuta al clan era proporzionale al volume delle giocate al netto delle vincite pagate. Vincite del tutto esigue, tenuto conto che in diversi casi i congegni elettronici erano stati manomessi e scollegati dalla rete telematica di collegamento con lAgenzia dei Monopoli, con evidenti riflessi negativi per l’Erario.

I magistrati della DDA di Bari hanno contestato agli indagati, a vario titolo, fatti relativi agli anni 2012-2019, con reati di illecita concorrenza con violenza e minaccia, con l’aggravante del metodo mafioso, contrabbando di sigarette e detenzione abusiva di armi clandestine, estorsione, riciclaggio ed usura.  Baldassare D’Ambrogio di fatto avrebbe raggiunto con i vertici dei clan mafiosi di Bari e provincia un accordo finalizzato a “compiere atti di concorrenza sleale, imponendo una posizione dominante nel mercato dei videopoker e di altri apparati da intrattenimento elettronici, attraverso la minaccia e l’assoggettamento omertoso“.

Le organizzazioni mafiose facenti riferimento a Nicola D’Ambrogio, alias ‘TròTrò‘, e Lorenzo Caldarola (membro del clan Strisciuglio), insieme a Vincenzo Anemolo, Domenico e Gaetano Capodiferro, Giuseppe Capriati e Vito Valentino, tutti colpiti dalla misura cautelare in carcere , i quali secondo i magistrati baresi  “si sono divisi il territorio barese in zone di influenza, reciprocamente rispettate, per acquisire in modo esclusivo e monopolistico (direttamente o indirettamente tramite imprenditori collusi) la gestione o comunque il controllo della distribuzione delle apparecchiature da gioco (videopoker, slot machine) nei locali pubblici e delle sale gioco autorizzate (gestione dei totem e delle VLT videolottery)“, anche  estromettendo altri imprenditori concorrenti operanti nello stesso settore.

 

Dalle indagini è inoltre emerso che “Dario” D’Ambrogio avrebbe riciclato per conto del predetto zio cospicue somme di denaro provenienti dalle attività illecite gestite dal “clan Strisciuglio”; in particolare, nel 2012, avrebbe acquistato le quote di due sale da gioco in Bari, sottoscrivendo con il venditore due contratti di compravendita delle relative quote sociali per un corrispettivo dichiarato di 50.000 euro, che le indagini hanno tuttavia quantificato in oltre 430.000 euro, versati con cadenza mensile in quote frazionate di 22.500 euro.

Le indagini hanno infine acclarato che l’attività usuraria condotta dal D’Ambrogio e da altri soggetti della criminalità barese  (già gravati da precedenti penali della specie), nei confronti di piccoli imprenditori locali, per la maggior parte conduttori degli apparecchi da gioco, consentiva la corresponsione di tassi oscillanti tra il 125% ed il 2.000% annuo.

Gli arrestati

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