Gli squallidi deputati non hanno ancora un nome ma in compenso hanno un’ appartenenza politico ben definita. A rivelarlo il quotidiano La Repubblica . Cinque deputati avrebbero chiesto e ottenuto dall‘Inps il bonus da 600 euro, varato dal Governo giallorosso per sostenere il reddito di autonomi e partite Iva in difficoltà durante la crisi del coronavirus.
Sulla base di quanto pubblicato da Repubblica ora questi parlamentari hanno una “colorazione” e matrice politica.Magra consolazione sono esponenti di diversi partiti di maggioranza e opposizione: tre sarebbero della Lega, uno del Movimento 5 Stelle e uno di Italia Viva. Inoltre, nella squallida e vergognosa vicenda sarebbero coinvolti altri duemila esponenti tra assessori regionali, consiglieri comunali e regionali, sindaci e governatori .
Per quanto riguarda i deputati leghisti coinvolti, è stato lo stesso Matteo Salvini a condannare il comportamento dei deputati ed ha accusato l’Inps: “E’ una vergogna che un parlamentare chieda i 600 euro destinati alle partite Iva in difficoltà . E’ una vergogna che un decreto del Governo lo permetta – aggiunge Salvini – ed è una vergogna che l’Inps abbia dato quei soldi . In qualunque Paese al mondo, tutti costoro si dimetterebbero“.
Ancora più duro il commento della presidente di Fratelli D’Italia, Giorgia Meloni. che come noi ha definito la vicenda uno squallore. E poi ha aggiunto: “Una brutta storia di deputati avidi e governo incompetente sulla quale pretendiamo massima chiarezza. Intanto, visto che l’Inps non fa i nomi per questione di privacy, invito ogni parlamentare a dichiarare ‘#Bonus Inps io no!’. In modo che i nomi emergano lo stesso, per esclusione“.
A intervenire sul caso è anche il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che ieri su Facebook ha scritto: “Oggi la Repubblica parla di 5 Parlamentari, di 5 poveri furbetti che durante la pandemia hanno avuto il coraggio di avanzare richiesta allo Stato per avere il bonus di 600 euro riservato ai lavoratori autonomi e alle partite iva in difficoltà. Evidentemente non gli bastavano i quasi 13mila euro netti di stipendio al mese, non gli bastavano tutti i benefit e privilegi di cui già godono. È vergognoso. È davvero indecente“., ed aggiunto “Questa pandemia ha fatto danni economici senza precedenti. Ci sono state persone che hanno perso il lavoro, aziende che hanno visto il proprio fatturato scendere in maniera drastica, attività che hanno chiuso senza più riaprire. E questi 5 personaggi invece di rispondere al popolo che li ha eletti hanno ben pensato di approfittarne – prosegue Di Maio – i nomi di queste 5 persone sono coperti dalla legge sulla privacy. Bene, siano loro ad avere il coraggio di uscire allo scoperto. Chiedano scusa agli italiani, restituiscano i soldi e si dimettano, se in corpo gli è rimasto ancora un briciolo di pudore. Non importa di quale forza politica siano espressione. Mi auguro che anche le altre forze politiche la vedano come noi“.
Adesso è caccia aperta ai “furbetti” di Montecitorio. Cinque deputati che nonostante uno stipendio da oltre 12mila euro al mese incassati puntualmente hanno richiesto ed incassato il bonus da 600 euro previsto per marzo e aprile (poi a maggio aumentato a 1.000 euro, a patto però di dimostrare la perdita di fatturato), disposto dai decreti Cura Italia e Rilancio per sostenere autonomi e partite Iva in difficoltà causa Covid19.
Nell’elenco dei “furbetti” protetto dall’Inps come se fosse un segreto di Stato compaiono anche duemila amministratori locali tra assessori e consiglieri regionali, sindaci e consiglieri comunali, persino qualche governatore. Non tutti, però, – come racconta la collega Giovanna Vitale questa mattìna su La Repubblica con un reddito tale da far gridare allo scandalo.
La busta paga di un assessore del Veneto o di un consigliere della Sicilia, pressoché equiparata a quella dei parlamentari, è certamente diversa dall’indennità di un sindaco o del consigliere di un piccolo paese, che prende solo un gettone di presenza. E potrebbe aver avuto davvero bisogno del sostegno pubblico durante il lockdown.
Ben differente è la posizione dei cinque deputati (e politici con retribuzione assimilata). Per i quali tutti i partiti in Parlamento invocano nessuna pietà: si autodenuncino, diano indietro i soldi e poi lascino lo scranno. L’idea al momento è quella di convocare in commissione il presidente dell’Inps Pasquale Tridico per obbligarlo a rivelare le identità nascoste.
Il forzista Andrea Ruggeri presenterà oggi un’interrogazione al ministro del Lavoro Nunzia Catalfo (che solo a tarda sera si è detta «arrabbiata come cittadina, prima ancora che come ministra»). A lei chiederà di «fare i nomi dei cinque miserabili che hanno umiliato milioni di partite Iva a rischio sopravvivenza causa pandemia. Non credo che il presidente Fico, uno di quelli che doveva aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, possa eccepire».
Nessuno dei furbetti ha ancora trovato il coraggio di autodenunciarsi, a dispetto degli appelli lanciati nelle chat interne di tutti i partiti. Anche quello della renziana Maria Elena Boschi è caduto nel dimenticatoio, venendo letteralmente ignorato. La Lega al suo interno è letteralmente in rivolta. Tutti pretendono di sapere i nomi dei deputati.
Il Governo incredibilmente si difende facendo notare come fosse una strada obbligata dall’urgenza, seguita fra l’altro da altri paesi europei come la Germania: se si fossero messi dei paletti sul reddito, le verifiche avrebbero richiesto tempo e gli aiuti sarebbero arrivati in ritardo rispetto all’esigenza di milioni di partite Iva colpite dal blocco dell’attività lavorativa. Ma l’azzurra Mara Carfagna insiste: «È sbagliato un sistema che permette di richiedere e ricevere un sussidio anche a chi non ne ha assolutamente necessità».
Soltanto su un punto sono tutti d’accordo: «Privacy o non privacy si rendano subito noti i nomi di questi 5 deputati senza ritegno e vergogna», dichiara Loredana De Petris di Leu.
L’ Autorità Garante della Privacy tira il fremo a mano e nella serata di ieri nel solito “burocratese” dichiara : «La diffusione di dati relativi a persone fisiche da parte dell’Inps necessita di una norma di legge o di regolamento. Restano salvi gli eventuali controlli sui beneficiari delle provvidenze da parte dei soggetti competenti e l’utilizzabilità dell’accesso documentale, esercitabile da chi ne abbia titolo».
Lasciatecelo dire, questa è l’ Italia “monnezza” !