TARANTO-MILANO , h. 19:08 – Nonostante fosse “formalmente privo di ruoli in ILVA spa” dal 2007, Fabio Riva (figlio dell’ex patron del gruppo, Emilio deceduto alcuni mesi fa), “si era posto al vertice della funzione amministrazione sia in relazione a RIVA Fire che a ILVA spa e della funzione commerciale in ILVA spa“. Lo scrivono i giudici della terza sezione penale del Tribunale di Milano nelle motivazioni della sentenza hanno condannato lo scorso 21 luglio per una presunta truffa ai danni dello Stato da 100 milioni, il vice presidente Fabio Riva a 6 anni e mezzo di carcere, Alfredo Lomonaco l’ ex presidente della finanziaria elvetica Eufintrade a 5 anni, ed Agostino Alberti l’allora consigliere delegato della società svizzera ILVA Sa 3 anni di reclusione e la società italiana Riva Fire Spa a 1,5 milioni di euro di multa, rivolgono le accuse e responsabilità anche contro la gestione «familiare» e «padronale» del Gruppo Riva e delle società ad esso collegate ed afferenti .
“La volontà di Emilio Riva – si legge nelle motivazioni dei giudici – era quella di realizzare un sistema di frode che potesse essere da loro interamente controllato, finalizzato a vendere a clienti esteri i beni prodotti, ottenendo il pagamento in contanti e nel contempo beneficiando delle agevolazioni in assenza del presupposto della dilazione”. I beni prodotti chiaramente sono quelli realizzati nello stabilimento siderurgico di Taranto. Secondo i giudici milanesi“L’ ILVA ha rappresentato per il gruppo Riva lo strumento per poter direttamente incamerare i proventi illeciti derivanti dall’operatività di un sistema di operazioni finanziarie ineccepibile solo dal punto di vista formale” . La stessa società non avrebbe mai avuto un guadagno e “la merce – scrivono i giudici – non veniva mai consegnata all’ ILVA Sa e veniva direttamente trasportata al cliente finale partendo dallo stabilimento dell’ ILVA di Taranto”.
Per sostenere la loro affermazione, i giudici ricordano che un testimone ha definito Fabio Riva “direttore, superiore e padrone“, cui diversi dirigenti riferivano direttamente. Il tribunale torna anche in altri passaggi sulla questione, per spiegare che “le condotte delittuose di truffa ai danni dello Stato” sono state realizzate “nell’interesse e a vantaggio di RIVA Fire spa, capogruppo“, come “la determinazione programmatica della creazione di ILVA sa“. Tanto piu’, scrivono ancora i giudici, che Riva Fire viene definita “diretta espressione della proprietà“, ovvero la famiglia Riva e in questo caso particolare, Fabio Riva.
Nella valutazione dei giudici «volta ad accertare se le condotte delittuose di truffa ai danni dello Stato siano state poste in essere nell’interesse e a vantaggio dell’ente Riva Fire spa, capogruppo, assume (…) rilevanza pregnante, oltre la già evidenziata gestione familiare« e padronale del gruppo Riva e delle società ad esso afferenti, proprio la determinazione programmatica della creazione di ILVA sa», la società svizzera sarebbe stata costituita di fatto con il solo scopo di aggirare la vigente normativa della legge Ossola sulla erogazione di contributi pubblici previsti per le aziende che esportano all’estero. Per il Tribunale di Milano, infatti, «è stato accertato che ILVA fosse solo un mero schermo societario, creato ad arte per la precostituzione di uno strumento atto a ricevere indebitamente le sovvenzioni Simest», la società italiana per le imprese all’ estero, operazione creata ad hoc in quanto “doveva consentire non solo la percezione del contributo ma anche la possibilità di trattenere all’estero quanto più denaro possibile“.
“L’interesse dell’ente Riva Fire spa – si legge sempre nelle motivazioni – da cui muove l’intera attività delittuosa ed a cui si ispira programmaticamente, si esprime nell’attività di regista, la cui ingerenza continua e soverchiante svilisce la singola autonomia delle controllate ILVA Sa e ILVA spa fino a renderle, con particolare riguardo all’operazione legata ai contributi erogati da Simest, società meramente asservite al programma di arricchimento della holding“.
I giudici hanno anche disposto la confisca di beni a tutti gli imputati per un valore di quasi 91 milioni di euro ed una provvisionale di 15 milioni da versare al Ministero dello sviluppo economico.