Nel processo ai vertici dell’Eni, che accusava di corruzione internazionale, i pm hanno selezionato “chirurgicamente” gli elementi utili alla loro tesi, omettendo e nascondendo gli elementi e le prove che avrebbero consentito agli imputati di poter dimostrare la propria innocenza. Per questo è colpevole di rifiuto di atti d’ufficio. Un magistrato, anche se rappresenta l’accusa, “ha il dovere di svolgere accertamenti anche su fatti e circostanze favorevoli alla persona indagata“, e di mettere a disposizione della difesa quanto ha scoperto. Doveri che il magistrato Fabio De Pasquale, all’epoca dei fatti procuratore aggiunto della Repubblica a Milano, non ha rispettato.
Sono queste in sintesi le motivazioni depositate oggi dal Tribunale di Brescia sulla condanna a otto mesi di carcere inflitta a De Pasquale e al suo collega il pm Sergio Spadaro. Nelle motivazioni si legge che “i fatti di causa si sono rivelati di particolare gravità, perchè gli imputati hanno deliberatamente taciuto l’esistenza di risultanze investigative in palese ed oggettivo conflitto con i portati accusatori, a dispetto delle pressanti esortazioni ricevute da un magistrato in servizio presso il medesimo ufficio di Procura”. Il riferimento è al magistrato Paolo Storari, il pm della procura ambrosiana che si battè a lungo affinchè i documenti che dimostravano come in realtà Vincenzo Armanna, il grande accusatore dei vertici Eni, in realtà non era altro che un calunniatore. De Pasquale invece dispose e fece si che quei verbali restassero occultati “chiusi in un cassetto“.
Secondo l’ormai ex procuratore aggiunto De Pasquale, quelle carte erano a suo parere (strumentale) “irrilevanti“. Il tribunale di Brescia nelle motivazioni della sentenza evidenzia che “il pm non può rivendicare a sè l’esclusiva sulla pertinenza e rilevanza della prova, arrogandosi una sfera illimitata di insindacabilità”. In quel periodo la Procura di Milano stava svolgendo le indagini sulla cosiddetta “loggia Ungheria”, ed era prioprio nel corso di questa indagine che vennero alla luce le prove che Armanna dichiarava il falso.
De Pasquale e Spadaro nel processo Eni usarono di quelle carte solo quelle che gli facevano comodo: i due pm “non si sono limitati ad eseguire una cernita di elementi probatori sulla base di una visione monocromatica – o “tunnellizzata” – del materiale a disposizione, ma hanno compiuto una selezione ragionata dei soli tasselli in grado di arricchire il mosaico accusatorio, con esclusione delle tessere dimostrative di segno contrario”, “tralasciando chirurgicamente i dati nocivi che pure erano stati portati alla loro attenzione dal dottor Storari”.
Il deposito dei verbali sulla loggia Ungheria nel processo Eni si era “improvvisamente inceppato” quando erano emerse le prove che sbugiardavano il superteste Armanna. mentre il povero Storari veniva stato accusato da De Pasquale di “creare un clima sfavorevole all’accusa” invece di “fare squadra” con De Pasquale e Spadaro.