Solo uno resta fuori. Quello più inviso a Davide, il figlio del cofondatore di M5S. Guarda caso. La società che organizza l’evento cerca dapprima di trovare un compromesso con Iacoboni, poi motiva la cacciata di una persona che era lì per lavorare, di questo si tratta, aggrappandosi alle «regole da rispettare», che per definizione dovrebbero essere applicate a tutti, nessuno escluso. Lo staff romano della comunicazione pentastellata fa sapere invece che l’esclusione è motivata da «ragioni personali». Al netto del problema di coordinamento, le due versioni non si tengono. Ma comunque non è neppure importante. Perché piaccia o non piaccia, non si vieta un evento di rilievo pubblico a un giornalista, per quanto sgradito.
Non è lesa maestà della categoria. Si chiama democrazia, e salvo contrordini l’informazione ne è ancora un elemento fondamentale. M5S ha sin dall’inizio un complicato rapporto con la libertà di stampa. Le invettive di Beppe Grillo sono cominciate all’epoca del primo “Vaffa-day” e da allora non si sono più fermate, fino alle banconote false distribuite per sfregio ai cronisti durante Italia 5 Stelle dello scorso settembre a Rimini.
Forse il Movimento 5 Stelle dovrebbe avviare una riflessione su quel che ha seminato in questi anni additando i giornalisti al pubblico ludibrio dei suoi sostenitori. Peccato non averne parlato in un evento dedicato a Gianroberto Casaleggio. Uno che i giornali li leggeva. E li rispettava. Anche quando non era d’accordo con le cose che scrivevano.