Il calabrese Rocco Morabito, 55enne, fra i massimi ricercati d’Italia, secondo soltanto a Matteo Messina Denaro, appena sbarcato nella notte all’aeroporto di Ciampino dopo il sì brasiliano all’estradizione, è stato avanguardia pura della ‘ndrangheta. Una definizione, coniata da un alto ufficiale dei carabinieri che gli ha dato la caccia scoprendo i tre bunker ipertecnologici nella villa di Africo, uno dei piccoli paesini calabresi culle delle cosche, dove si incrociano le sue coordinate criminali.
Era stato arrestato dalla polizia federale brasiliana, nel corso di un’operazione congiunta con i Carabinieri del ROS e del Comando Provinciale di Reggio Calabria, supportati dal Servizio di Cooperazione Internazionale di Polizia – progetto I-CAN (Interpol Cooperation Against ‘ndrangheta) e dalle agenzie statunitensi DEA e FBI. Le indagini sono state coordinate dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria, diretta dal Dr. Giovanni Bombardieri.
Morabito era sparito latitante da trent’anni, non voleva la galera italiana come non la vuole la ‘ndrangheta. Avrebbe preferito una prigione come quella di Montevideo, da dove , approfittando di favori interni nonché di una struttura debole nei sistemi di sicurezza, nel giugno 2019 evase facilmente. Senza contare che le ribellioni nei penitenziari sudamericani sono frequenti ed innescando fughe di massa e, in generale, la fragilità di certe nazioni, a rischio di derive autoritarie o colpi di Stato, rimescola ogni aspetto della società civile, insomma comprese anche le prigioni e chi le comanda, aprendo improvvisi scenari inaspettati purché uno sia pronto con la testa, le gambe e il portafoglio.
E’ stato Morabito fra i primi a insistere sull’espansione internazionale delle cosche, diventando il re dei broker della cocaina, Quanto alle cosche Rocco Morabito, del quale sono note le sue capacità di anticipare le mosse con incredibile astuzia, si auto considera come un intoccabile, uno che anche se cadesse non affonderebbe mai, è ormai un personaggio scomodo in Italia ‘ndrangheta. Custodi di segreti su infinite trame, e non importa se queste siano ambientate per lo più tra Argentina, Uruguay dove fu recluso, e per ultimo il Brasile dove è avvenuto il suo arresto definitivo, grazie ad una brillante ed efficace operazione del Ros dei Carabinieri nel maggio 2021 allorquando le complesse investigazioni di respiro internazionale, sviluppate anche attraverso il monitoraggio delle scie telematiche, hanno permesso di localizzare il latitante a João Pessoa, dove è stato rintracciato in compagnia di un altro ricercato di ‘ndrangheta, Vincenzo Pasquino.
Forte di pesanti conoscenze nell’intero continente, Morabito era più convinto di imbrogliare le carte ed evitare il rimpatrio che di allontanarsi di nuovo dalle celle. Infatti nella sempre difficile trafila burocratica che regola le estradizioni, nelle quali basta una riga scritta male in un fax o un cavillo burocratico a invalidare il provvedimento, l’iniziale trasferimento in Italia del boss era stata rimandata. Gli investigatori italiani originariamente sarebbero dovuti andare in Brasile una settimana fa, invece lo hanno fatto soltanto domenica, con un ritardo ben accetto in quanto la magistratura e la diplomazia sono arrivate alla soluzione della questione.
Con un leggero ritardo rispetto alla tabella di marcia, l’atterraggio del Falcon che ha portato in Italia Morabito è stato modulato per le 2.45; adesso lo aspetta soprattutto il carcere duro dovendo scontare una pena definitiva a 30 anni di reclusione per reati in materia di stupefacenti. Soprannominato “‘u tamunga” nel ristretto alfabeto della ‘ndrangheta, in quanto proprietario di una Munga, un fuoristrada di fabbricazione tedesca, Morabito fin da giovane ha cercato di distanziarsi dai classici schemi degli uomini ‘ndranghettisti, anche esteticamente grazie anche ai suoi frequenti soggiorni a Milano.
Il feudo calabrese stava stretto a Morabito, lui guardava al mondo, e non è un caso che, in occasione della perquisizione dei Carabinieri, vivesse in una villa villa insieme ad una sofisticata, donna portoghese, di grande eleganza ed affabilità la quale accoglieva gli investigatori in vestaglia, ostentando una calma imperturbabile, con un comportamento esattamente opposto dei di familiari di altri ricercati che invece urlano, cercano di ostacolare le operazioni minacciando azioni legali. In quei bunker iper-tecnologici, c’era unicamente l’aspirazione di un potente “boss” di utilizzare il meglio sul mercato della sicurezza personale per la propria protezione.
La sinergia investigativa tra i reparti dell’Arma dei Carabinieri e la Polizia Federale brasiliana, in costante raccordo operativo con il Servizio di Cooperazione Internazionale di Polizia – progetto I-CAN e con il supporto delle agenzie statunitensi DEA e FBI, ha ulteriormente confermato come la fattiva e intensa collaborazione investigativa tra forze di polizia possa portare a colpire i più importanti esponenti del narcotraffico che operano in una dimensione transnazionale.