di ANTONIO MASSARI*
Il caso di Nancy Porsia, giornalista intercettata senza essere indagata, deve produrre una conseguenza: si apra un dibattito e si stabilisca se è valido il principio per il quale il suo lavoro (e con esso la sua vita) è stato monitorato per mesi. Oppure, se valido non è, ed è questo il mio pensiero, sia chiaro il perché, affinché non accada mai più.
Può apparire banale ma così non è: la sua intercettazione è stata vagliata da una procura, su richiesta della polizia giudiziaria, e quindi, prima di essere disposta ha già superato il vaglio di un giudice che l’ha autorizzata. In base a quale principio? Seguendo questo percorso, oltre a comprendere quel che è accaduto a Porsia, e di conseguenza a tutti i giornalisti italiani e per riflesso ai loro lettori, potremo anche comprendere qualcosa in più rispetto a quello che è accaduto nel 2017 e nell’inchiesta di Trapani sulle Ong.
Proviamo quindi a fare il primo passo. Perché Porsia viene intercettata? La risposta è chiara ed è negli atti. Leggiamo un passo della richiesta, avanzata dalla Polizia di Stato, di prorogare le sue intercettazioni: “Appare di assoluta importanza prorogare l’attività tecnica in quanto si ritiene che dall’ascolto delle conversazioni tra Porsia e i soggetti con i quali mantiene i contatti nei Paesi del Nord Africa, con particolare riferimento alla Libia e alla Tunisia, si possano acquisire importanti elementi, come già avvenuto nel caso del clan Dabbashi, utili a delineare i contorni dei nuovi network criminali, operanti tra la Libia e la Tunisia, che si stanno affermando sullo scenario della migrazione clandestina verso l’Italia”. In sostanza Porsia, grazie al suo lavoro sul campo – sempre più raro purtroppo – è in grado di fornire notizie utili alle indagini.
Riflettiamo: a chi tocca trovare notizie utili alle indagini giudiziarie? Senza dubbio agli inquirenti. Un giornalista investigativo trova notizie utili alle sue inchieste. Se avesse voluto fare il pm o l’investigatore avrebbe fatto un concorso in magistratura o si sarebbe arruolato tra i Carabinieri, o in Finanza o nella Polizia di Stato. Nei fatti la Procura di Trapani arruola Porsia, a sua insaputa e senza il suo consenso, come un agente sotto copertura: la ragione investigativa, l’esigenza di individuare dei reati, il bene collettivo della giustizia può prevalere quindi sul diritto di Porsia a fare il suo lavoro senza essere sottoposta a intercettazioni, a vedere frantumato il diritto alla riservatezza delle sue comunicazioni, alle tutela delle sue fonti?
È questo il primo punto da valutare: in sostanza le esigenze di uno tre poteri dello Stato, quello giudiziario, può essere predominante sul cosiddetto Quarto potere? Il Quarto potere, l’informazione, è utile alla democrazia per un solo motivo: controlla gli altri tre. Nel caso di Nancy Porsia l’assunto si è invertito: il potere giudiziario ha controllato, pur non avendo Porsia commesso alcun reato, il Quarto potere? È un principio possibile da accettare? A mio avviso no: ogni giornalista – se fa bene il suo lavoro – è in grado di trovare notizie utili alle indagini. Se questo è il principio, ogni giornalista potrebbe essere intercettato. Anche il direttore di un giornale che magari, per status, ha più facilità a colloquiare con presidenti del consiglio, ministri, generali e via dicendo. Se applicassimo il principio trapanese crollerebbe un pilastro del sistema democratico. Non è soltanto Porsia ad aver subìto un’ingerenza pesantissima: è il concetto e la pratica della democrazia. E questo spiega qualcosa della stagione iniziata nel 2017.
Per la prima volta – almeno così mi risulta – a indagare sull’immigrazione clandestina viene applicato il Servizio centrale operativo (Sco) della Polizia di Stato: l’élite dei nostri investigatori, di solito impegnati contro vertici delle mafie, per esempio, e giusto per intendersi. In questo caso si dedicano ai trafficanti di immigrati e soprattutto alle Ong. Ed è già un fatto inedito. Non è il solo. Lo Sco – come tutta la Polizia di Stato – dipende dal ministro degli Interni che, in quel momento, è Marco Minniti il quale, proprio in Libia, ha avviato la sua politica di contenimento degli sbarchi. E ha capito che le navi delle Ong in mezzo al mare sono un ostacolo alla sua strategia. Ma c’è di più. A far partire l’indagine trapanese sono gli agenti di sicurezza presenti a bordo della nave Vos Hestia dell’Ong Save the Children. Fermiamoci un attimo a riflettere su un dato. Ed è un dato piccolo ma dirimente.
Chi vi scrive, nel 2017, a indagini in corso, scopre che gli agenti della Vos Hestia, ben prima di denunciare in questura le irregolarità viste a bordo della nave, portano notizie e foto a Matteo Salvini – negli atti si leggerà che ci ha costruito la sua campagna elettorale – e ai servizi segreti. Soltanto dopo si presentano in questura e l’indagine si avvia. Puntano alla gratitudine di Salvini – mirano magari a un posto di lavoro – e una di loro, Floriana Ballestra, ottiene anche un appuntamento con l’assessore regionale Edoardo Rixi, futuro viceministro nel governo giallo verde. In cambio non otterranno nulla. Ma la vicenda è di interesse investigativo: la Polizia in quel momento la racconta negli atti di indagine.
Io vengo intercettato con uno degli indagati proprio mentre, senza avere la polizia giudiziaria a darmi informazioni, da giornalista investigativo le trovo per i fatti miei, arrivando al punto di pubblicare gli sms tra Salvini e gli agenti della sicurezza: Salvini è costretto ad ammettere pubblicamente di averli incontrati. Siamo nell’agosto 2017 a inchiesta appena avviata (si badi, l’inchiesta durerà ben quattro anni. Si è conclusa circa un mese fa). A giugno 2018 Salvini prende il posto di Minniti al ministero degli Interni. Domanda: posto che anche io trovavo notizie utili alle indagini (quelle che la polizia di stato menziona nelle informative: gli agenti che cedevano informazioni mirando a qualcosa in cambio), posto che la polizia ne è al corrente perché sono intercettato mentre lo faccio, come mai a me non è stato applicato il metodo Porsia? Come mai non decidono di intercettare direttamente anche me? E soprattutto: questo filone dove e come finisce? I due pesi e le due misure fanno riflettere.
Porsia era utile a trovare notizie – questo è un fatto assodato – in un momento storico particolare: per una coincidenza temporale le sue informazioni erano utili sotto il profilo giudiziario (i magistrati avevano ovviamente l’obbligo di indagare sui presunti reati) e le conseguenze giudiziarie combaciavano con le strategie politiche di Minniti prima e di Salvini poi. E in questo momento storico particolare avviene l’anomalia: Porsia viene intercettata. Tutto questo può essere accettabile? Quale principio giuridico ha prevalso? Quale bene comune ha avuto la meglio sull’altro? A soccombere è stata la libertà di Nancy Porsia di trovare informazioni secondo le regole: è stata spiata e le sue fonti sono state individuate.
C’è però un lieto fine: i giornalisti lo stanno raccontando. Il Quarto Potere controlla il potere giudiziario come tutti gli altri. E ora possiamo discuterne. Ma non si pensi che è un fatto che riguarda solo Porsia. Riguarda tutti i giornalisti. Riguarda la democrazia. Cioè tutti noi. Nessuno escluso.
*giornalista de IL FATTO QUOTIDIANO