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22 Dicembre 2024 06:59

Il caso Ilva. I “furbetti” dell’ acciaio: Arcelor Mittal

Nella lunga e tormentata storia dell'Ilva, post partecipazioni statali, costellata di scelte poco lungimiranti, a partire dalla vendita ai Riva, si sono succedute decisioni condizionate dall'ideologia, errori di gestione. Interventi a gamba tesa della magistratura, quella di Taranto, un pò troppo politicizzata ed alla ricerca della ribalta nazionale, così generando di fatto una vera e propria guerra dello Stato allo Stato.

La siderurgia è un settore strategico per l’Italia essendo il nostro Paese al secondo posto manifatturiero d’Europa, quindi come potrebbe non essere considerata strategica la produzione dell’ acciaio? Ce ne siamo accorti con il gas e con la produzione dei chip che cosa può succedere quando si è troppo dipendenti dall’estero. A dominare il mercato mondiale dell’acciaio, sono la Cina e India, l’Italia se la gioca ancora discretamente bene. Siamo al al secondo posto in Europa per tonnellate prodotte, subito dopo la Germania, e all’undicesimo posto nel mondo: un primato che non possiamo e non dobbiamo perdere.

E sopratutto di sostegno all’intero settore manifatturiero. Sono sufficienti due numeri per fare delle necessarie valutazioni ragionale: l’industria delle costruzioni di fatto costituisce il 35% dei ricavi delle imprese siderurgiche italiane, l’automotive il 18%, subito dopo ci sono gli elettrodomestici.

Il portafoglio clienti di Acciaierie d’Italia (ex Arcerlor Mittali Italia – ex Ilva) è compreso esattamente in questo focus, anche perchè la sua produzione è essenziale anche per le altre aziende siderurgiche, essendo la prima per rifornimenti di materie prime agli impianti del Nord a forno elettrico. Lo stabilimento siderurgico di Taranto, che è il più grande d’Europa, rappresenta per fatturato e produzione più dell’85% del bilancio del gruppo. Quindi se si ferma Taranto rischia di fermarsi una parte consistente dell’industria italiana. Un dato che i nostri governanti che da anni dichiarano la strategicità della siderurgia italiana, hanno dimostrato di non capire a fondo. Ma adesso devo dimostrarlo con i fatti, assumendo decisioni ed azioni adeguate all’altezza della questione.

Nella lunga e tormentata storia dell’Ilva, post partecipazioni statali, costellata di scelte poco lungimiranti, a partire dalla vendita ai Riva, si sono succedute decisioni condizionate dall’ideologia, errori di gestione. Interventi a gamba tesa della magistratura, quella di Taranto, un pò troppo politicizzata ed alla ricerca della ribalta nazionale, così generando di fatto una vera e propria guerra dello Stato allo Stato. Una vicenda il cui dossier infiammato rischia di incenerire le scrivanie sulle quali viene depositato.

Sembra essersene accorto ed averlo capito anche Adolfo Urso attuale ministro delle Imprese e del Made in Italy, chiamato ad attuare una decisione meno semplice di quello che sembra: come utilizzare il miliardo che il precedente governo guidato da Mario Draghi aveva accantonato e stanziato per Acciaierie d’Italia. Molti credono che la soluzione sia quella di ricapitalizzare Acciaierie d’Italia portando Invitalia, attuale socio pubblico che detiene il 38% delle quote societarie (e il 50% dei voti nel CdA), a detenere una quota di maggioranza, con effetti immediati sulla governance. Il socio privato Arcelor Mittal invece la pensa diversamente: vuole utilizzare quei soldi per dare una boccata d’ossigeno alle casse della società dissanguate dal caro energia che ha quasi decuplicato la bolletta annuale toccando i 1,4 miliardi.

l’ingresso lavoratori dello stabilimento siderurgico di Taranto

Da parte sua l’amministratore delegato Lucia Morselli rivendica un bilancio 2021 in utile per 310 milioni (rispetto ai 265 milioni di perdita del 2020) e un buon andamento anche nel 2022. Non dicendola tutta, in quanto queste performance non sono state generate da una gestione produttiva aziendale, ma esclusivamente dai tagli del costo del personale, utilizzando continuamente la cassa integrazione (a carico dello Stato e cioè del contribuente)e senza spiegare l’esposizione debitoria nei confronti dell’aziende dell’ indotto, che ammonta ad oltre 100 milioni di euro.

La Morselli a chi rimprovera al gruppo di non investire, ricorda i grandi passi avanti nelle prescrizioni ambientali, ma anche in questo caso dimentica (o finge di dimenticare) l’utilizzo dei fondi dello Stato provenienti dalla maxi-confisca di 1miliardo e 300milioni di euro ai Riva, e lo sfruttamento lavorativo effettuato sulle pelle dei molti fornitori, quasi tutte “aziende mono-ILVA” (cioè che lavorano per l’ex-ILVA) e 145 tagliate fuori dalla sera alla mattina, come se niente fosse.

la Morselli fra Emiliano e Melucci, quando prometteva ai fornitori pagamenti rapidi

L’amministratore delegato di Acciaierie d’Italia lamenta casse vuote che a suo dire avrebbero costretto il gruppo a ricorrere alla Snam come fornitore di ultima istanza, dopo che l’ ENI aveva distaccato le forniture per un credito di oltre 300 milioni di euro, la produzione dimezzata, ammortizzatori sociali per i dipendenti, sospensione dei contratti con l’indotto (che vanta crediti per forniture non incassate per oltre 100milioni di euro) , sono però argomenti che autorizzano a chiedere un cambio di passo a chi non ha mai creduto che il colosso franco-indiano puntasse davvero sul rilancio del gruppo italiano. E basta verificare i (non)trasferimenti di fondi dal colosso franco-indiano alla società italiana per capire la “furbata” degli indiani che si sono sottratti all’investimento di circa 4 MILIARDI di euro, previsto dalla gara assegnata dal Mise a gestione Calenda.

Il gruppo ArcelorMittal, che è il secondo produttore di acciaio al mondo, ha registrato un utile netto di gruppo record per il 2021 di 14,9 miliardi di dollari. Nonostante un calo dei volumi di acciaio prodotto, il gruppo e’ stato sostenuto dall’impennata dei prezzi mondiali delle materie prime: ha beneficiato di una “ripresa economica globale” e di una “forte domanda” che hanno portato a “livelli di redditivita’ molto elevati”, ha affermato il nuovo amministratore delegato Aditya Mittal, figlio del fondatore del gruppo, alla presentazione del suo primo esercizio finanziario dalla nomina lo scorso anno. Ma tutto questo la Morselli non lo dice e nessuno le pone una semplice domanda: quanto ha investito l’ azionista di maggioranza (cioè Arcelor Mittal) in Acciaierie d’ Italia ?

Il ministro Urso dopo aver constatato chelo Stato è salito su un treno che sta deragliando” ha parlato di necessario “cambio di governance” e di garanzie sul futuro del gruppo e sul suo sviluppo. Come non dargli ragione quando sostiene che “Lo Stato deve sapere dove va a finire il miliardo”. Fra sole 24 ore, il 2 dicembre finalmente dovrebbe tenersi l’assemblea dei soci e in molti auspicano che Invitalia finalmente adotti le decisioni necessarie ad un totale controllo pubblico. Tra l’ipotesi di un socio pubblico in maggioranza e quello di un addio definitivo ai Mittal, i furbetti dell’ acciaio auspicano un “fallimento pilotato con il ristoro dei fornitori e la creazione di una nuova società” anche con altri soci privati, purché con la volontà di un effettivo rilancio.

Ed era questa la “mission” della cordata Jindal (società indiana acerrima rivale di Arcelor Mittal), composta dal Gruppo Arvedi, Cassa Depositi e Prestiti, la Dolfin (cassaforte della famiglia Del Vecchio, leggasi Luxottica), che aveva come leader Lucia Morselli. Solo coincidenze ? Qualcuno al Mise ricorda che all’apertura delle buste, quando questa cordata venne sconfitta, Lucia Morselli avrebbe detto “state tranquilli, metteremo le mani su questa società“.

La circostanza grazie alla quale Arcelor Mittal ha risparmiato i 4 miliardi di euro, che avrebbe dovuto investire come da contratto, fu la revoca dello scudo penale annunciata in pompa magna dal M5S con la firma del ministro (in pectore al momento) Luigi Di Maio. Sapete chi gestiva per conto di Di Maio quel dossier ? Lucia Morselli, non ha mai smentito tale circostanza, limitandosi a non fornire comunicazioni o invitare il nostro giornale alle sue conferenze ed eventi, temendo probabilmente domande scomode.

Non a caso l’unico giornale a rendere pubblica e denunciare i retroscena di questa storia, e da tempi non sospetti, siamo noi del CORRIERE DEL GIORNO. Gli altri tacciono. Chiedetevi il perchè….

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